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Gallicanesimo. 

Si tratta di un movimento che durò a lungo in Francia, ma che riscontrò tendenze analoghe in altri paesi. Esso rivendicava una forte indipendenza dal papato. La forma classica in cui venne espresso si trova nei Quattro Articoli Gallicani:

  a) essi furono redatti dal vescovo di Meaux, Jacques‑Bénigne Bossuet (1627‑1704) ed approvati da un'assemblea del clero di Parigi nel 1682;

  b) fra le altre cose, si affermava che i concili generali avevano un'autorità superiore a quella del papa (DS 2281‑2285).

  Sebbene questi articoli siano stati revocati dal re Luigi XIV e dal clero nel 1693, la loro influenza continuò nel XIX secolo finché un papato energico e l'insegnamento del Concilio Vaticano I posero fine al Gallicanesimo. Cf Conciliarismo; Concilio di Costanza; Concilio Vaticano I; Febronianesimo.

Generazione. 

Si tratta dell'insegnamento del Concilio di Nicea (325) (« generato, non creato ») circa il modo con cui il Figlio ha origine da tutta l'eternità dal Padre senza essere da lui creato (cf DS 125; FCC 0.503) Cf Arianesimo; Concilio di Nicea I; Omooùsios.

Genere letterario. 

È uno stile o una forma particolare di scrivere. Può essere più breve (come un salmo di lamentazione o una parabola dei Vangeli), o più lungo (come un Vangelo o una omelia di un Padre della Chiesa). Un genere letterario va interpretato secondo quelle norme comuni che reggono questa forma di scritto e ne fanno un genere che si distingue dagli altri. Cf Esegesi; Ermeneutica.

Geova. 

Un nome ibrido per indicare Dio. Fu forgiato al tempo del Rinascimento col fondere due parole ebraiche per designare Dio: le consonanti provenienti dal nome sacro JHVH o YHWH, e le vocali di Adonài (« Signore ») con l'iniziale «a» cambiata per ragioni eufoniche in una « e ». Cf Iahvè.

Gerarchia (Gr. « origine sacra », « ordine »). 

Principio di ordine che regge l'universo, gli angeli, la società umana e la Chiesa. Lo Pseudo‑Dionigi (V o VI secolo) ha reso popolare il concetto di una gerarchia tra gli angeli. Mediante l'Ordine sacro (gerarchia di ordine), la Chiesa comprende i gradi di vescovi, presbiteri e diaconi (cf CIC 330‑572). Nella gerarchia di giurisdizione, l'autorità spetta al papa e ai vescovi; le altre forme di governo della Chiesa derivano da essi (cf CIC 1008‑1054). L'unione gerarchica tra il papa e i vescovi e tra un vescovo e i suoi presbiteri viene espressa attraverso la collegialità (cf DS 1767‑1770; FCC 9.291‑9.295; LG 18‑29). Il concetto di gerarchia con le tre classi di vescovi, presbiteri e diaconi, la cui autorità non proviene dalla base, distingue la Chiesa Cattolica e quelle Ortodosse dai Protestanti (cf anche DS 2595). Nel linguaggio popolare, per « gerarchia » si intendono solo il papa e i vescovi. Cf Collegialità; Cori degli angeli; Episcopato; Ordine; Ordinazione; Vescovo.

Gerarchia delle verità. 

È un principio per interpretare (non per selezionare) le verità di fede in base alla loro vicinanza al mistero centrale della fede: la rivelazione della Trinità portata da Cristo e mediante cui siamo salvi nello Spirito. Enunciato chiaramente dal Concilio Vaticano II (UR 11), questo principio ha dei precedenti biblici, in particolare quando il NT stabilisce sinteticamente i punti essenziali della fede (per es., Rm 1,3‑4; 1 Cor 15,3‑5). Tutte le verità vanno credute, è ovvio, ma il fatto di classificare e di interpretare queste verità secondo la loro relativa importanza può eliminare false sottolineature e facilitare il dialogo ecumenico (cf DS 3016; FCC 1.081) Cf Analogia della fede; Dialogo; Dogma; Ecumenismo; Fede; Professione di fede; Rivelazione.

Gerusalemme (Ebr. « città » di pace »). 

La città del re e sacerdote Melchisedech il quale benedisse Abramo (Gn 14,18‑20). Situata in una posizione strategica sul Monte Sion e sulle colline circostanti, Gerusalemme fu una roccaforte della resistenza dei Gebusèi contro l'invasione degli Israeliti. Verso il 1000 a.C., Davide espugnò la città e ne fece la capitale del Regno di Giuda (2 Sam 5,6‑7). Salomone vi costruì un « tempio grandioso » (1 Re 6,1‑38), e Gerusalemme fu esaltata come la Città di Dio (Sal 48; 87). È, però, probabile che Salomone non abbia fatto altro che trasformare un santuario già esistente dei Gebusèi in una specie di cappella regale. Dopo la caduta nel 586 a.C. (2 Re 24‑25), Gerusalemme divenne la patria verso cui sospiravano gli esiliati (Sal 137). Quando ritornarono, ricostruirono il Tempio (Cf Esd 3,1‑13; 4,24-6,22). Dopo la presa della città per opera dei Romani nel 64 a.C., Erode il Grande (che regnò dal 37 al 4 a.C.) costruì un Tempio ancora più maestoso. Gesù fanciullo visitò Gerusalemme e il suo Tempio (Lc 2, 22‑38.41‑50). Pianse sopra Gerusalemme (Lc 19, 41‑44) e ivi morì crocifisso. I Romani distrussero la città nel 70 d.C. Al tempo della rivolta di Bar Kocheba (132‑135 d.C.), ricostruirono Gerusalemme chiamandola Aelia Capitolina e proibirono agli Ebrei di ritornarvi sotto pena di morte. Gerusalemme è la Chiesa Madre e il luogo più importante di pellegrinaggio per tutti i cristiani. Fu riconosciuta come Patriarcato dal Concilio di Calcedonia (451). In Gerusalemme, la chiesa del Santo Sepolcro che abbraccia sia la tomba di Cristo sia il luogo del Calvario, manifesta le divisioni attuali dei cristiani e ha sei gruppi separati di cristiani che l'occupano: i Cattolici latini, i Greci Ortodossi, gli Armeni, i Siri, i Copti e gli Etiopici. Ci sono oggi tre patriarchi a Gerusalemme: quello Greco Ortodosso, quello Apostolico Armeno (= Ortodosso Orientale) e quello Latino. La « nuova » e « santa » città di Gerusalemme sarà la patria finale di tutti i beati (Gal 4,25‑26; Ap 3,12; 21,2.10). Cf Concilio di Calcedonia; Chiese Orientali; Pentarchìa; Tempio (Il).

Gesù Cristo (Ebr. « Dio salva » e Gr. « l'Unto). 

Nato circa nel 76 a.C. e crocifisso circa nel 30 d.C., fondatore del cristianesimo e confessato come una Persona divina (il Figlio di Dio) in due nature (essendo veramente e pienamente divino e umano). Una sintesi storica di Gesù comprende almeno questi dati: fu un Ebreo della Galilea, discendente di Davide, figlio di una donna chiamata Maria che era sposata a Giuseppe che faceva il carpentiere. Dopo essere stato battezzato da Giovanni, Gesù predicò il Regno di Dio, frequentò in particolare i peccatori pubblici e altri emarginati, chiamò alcuni discepoli alla sua sequela, scelse un gruppo di dodici, compì miracoli e narrò alcune parabole famose. La sua critica a certe forme di pietà (Mt 6,1‑18), il suo desiderio di correggere certe tradizioni (Mc 7,1‑23), la sua trasgressione di certe osservanze sabbatiche (Mc 2,23‑27), il suo atteggiamento nei riguardi del Tempio di Gerusalemme (Mc 14,58; 15,29), il suo appellarsi all'autorità divina nel cambiare la legge (Mc 10,2‑12; Mt 5,21‑48) e nel rimettere i peccati (Mc 2,17; Lc 7,48) e il suo comportamento di intima familiarità con Dio suscitò la reazione di alcuni capi e maestri Giudei. A Gerusalemme (dove istituì una nuova alleanza con Dio nel contesto della celebrazione pasquale), fu tradito, arrestato, interrogato dai membri del Sinedrio, condannato da Ponzio Pilato, messo a morte su una croce (che portava la motivazione scritta della sua condanna: un sedicente messia) e fu sepolto lo stesso giorno. Pochi giorni dopo, egli apparve gloriosamente vivo a molti individui e a gruppi. Maria Maddalena (Gv 20,1‑2), probabilmente accompagnata da altre donne (Mc 16,1‑8), trovò la tomba aperta e vuota. Con la forza dello Spirito, una comunità di discepoli si raccolse attorno a Pietro e ai Dodici per riconoscere e proclamare il risorto e glorificato Gesù come Cristo (o Messia), Salvatore, Signore divino e Figlio di Dio. Cf Abbà; Communicatio idiomatum; Concilio di Calcedonia; Cristologia; Enipostasi; Kyrios; Lògos; Messia; Pasqua ebraica; Preghiera di Gesù; Soteriologia; Unione ipostatica; Teologia Trinitaria.

Gesù storico. 

Il Gesù terrestre come è conosciuto attraverso una ricerca « puramente » storica senza ricorrere alla fede. Spesso il « Gesù storico » è stato contrapposto al « Cristo del kèrigma », o « Cristo della fede » (= il Cristo in cui si crede e che viene predicato dalla Chiesa). Oggi, si è generalmente d'accordo nel ritenere impossibile scrivere una « vita » genuina di Gesù. Però, un consenso con basi serie difende molte conclusioni storiche intorno a Gesù: il fatto che era Ebreo, che annunciò il Regno, che compì miracoli, che narrò parabole e che fu crocifisso a Gerusalemme sotto Ponzio Pilato. La sfida reale al problema del Gesù storico viene, comunque, da questa domanda: È realmente possibile costruire uno studio puramente critico su Gesù che consideri unicamente i fatti e rifiuti di valutarli teologicamente? Cf Cristo della fede; Cristologia.

Giacobiti. 

Cf Chiesa Ortodossa Siriana.

Giansenismo. 

Movimento teologico e spirituale, caratterizzato dal rigorismo morale e dal pessimismo sulla condizione umana. Il suo nome gli viene da Cornelio Otto Jansen (Giansenio) (1585‑1638). Questi fu ordinato vescovo di Ypres, in Belgio, nel 1636. Con il suo amico Jean Duvergier di Hauranne, abate di san Cirano (1581‑1643), Giansenio volle incoraggiare una riforma autentica della dottrina e della morale cattolica. Siccome il Protestantesimo si richiamava spesso a sant'Agostino di Ippona (354‑430), Giansenio studiò a fondo i suoi scritti, specialmente quelli diretti contro Pelagio. Nella sua opera postuma Augustinus (1640), tra gli altri punti Giansenio sostenne che la grazia di Dio determina irresistibilmente le nostre libere scelte, e senza una grazia speciale è impossibile osservare i comandamenti. Cinque proposizioni tolte dall'Augustinus di Giansenio furono condannate nel 1653 (DS 2001‑2005; FCC 8.136‑8.140), nel 1656 (DS 2010‑2013; FCC 8.143‑8.145) e nel 1690 (DS 2301‑2332). Nonostante l'insistenza sulla forza della grazia di Dio, i Giansenisti predicavano e praticavano una moralità rigorosa ed un approccio scrupoloso alla recezione dei sacramenti. Cf Agostinianismo; Determinismo; Grazia; Libertà; Pelagianesimo; Riforma (La).

Giovanni.

Cf Teologia giovannea.

Giudaismo. 

Religione dei Giudei, popolo che discende da Abramo, e che fu liberato dall'Egitto e scelto unicamente da Dio (Rm 9‑11). Divenne strettamente e chiaramente monoteista al tempo dell'esilio di Babilonia (587‑538 a.C.). Dopo aver subito per vari secoli la dominazione straniera e la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., i Giudei perdettero la loro terra con la rivolta di Bar Kocheba (132‑135) e la riebbero solo nel 1948 con la fondazione dello Stato d'Israele. L'identità religiosa e culturale del giudaismo fu conservata attraverso la Bibbia giudaica, il Sabato, la circoncisione e la fedele osservanza della legge mosaica e della dottrina tradizionale. Il Concilio Vaticano II sottolineò la comune storia religiosa che lega insieme Giudei e cristiani e che viene ricordata nell'AT (cf NA 4; LG 9). Cf Antico Testamento; Diàspora; Ebrei; Haggadah; Monoteismo; Olocausto; Sabato; Shemà; Sinagoga.

Giudeo, giudaico. 

Uno che discende dagli Ebrei eo la cui religione è il giudaismo. Secondo una legge decretata nel 1962 dallo Stato d'Israele, giudeo è colui che è nato da una madre giudea o che si è convertito al giudaismo. Cf Ebrei; Giudaismo.

Giudizio universale. 

Si crede che Cristo verrà di nuovo alla fine dei tempi a giudicare i vivi e i morti (cf DS 10, 13‑14, 76, 150; FCC 0.509, 0.514, 5.004). I profeti dell'AT annunciano la venuta del « Giorno del Signore »; sarà allora manifestata la volontà di Dio, le nazioni saranno giudicate e saranno elargite benedizioni in abbondanza (Is 2,6‑22; Ger 17,16‑18; Gl 2,28-3‑21; Am 5,18‑20). Sviluppando spesso le immagini dell'AT, i Vangeli sinottici parlano del grano che alla fine sarà separato dalla pula (Lc 3,17), della zizzania che sarà bruciata mentre il grano sarà riposto nel granaio (Mt 13,24‑30.36‑43), dei pesci buoni che saranno raccolti mentre saranno buttati via quelli cattivi (Mt 13,47‑50). Pure affermando un giudizio futuro (Gv 5,28‑29), il Vangelo di Giovanni sottolinea anche come il giudizio avviene già nel presente quando qui ed ora si crede o si rifiuta di credere nel Cristo (Gv 3,18‑19). Il Concilio di Firenze ha insegnato che, oltre ad un giudizio universale alla fine dei tempi, c'è anche un giudizio particolare per i singoli immediatamente dopo la morte (cf DS 1304‑1306; FCC 0.022‑0.024). Tuttavia, data la natura sociale degli esseri umani e la loro redenzione, il giudizio universale alla fine dei tempi rimane fondamentale. Cf Avvento; Eschata; Parusìa; Teologia giovannea.

Giurisdizione (Lat. « Giudizio che riguarda ciò che è legale »). (inizio)

L'autorità legale di giudicare ciò che è retto e ciò che non lo è e di agire conseguentemente. Nella legge canonica, « giurisdizione » significa il diritto e il dovere di governare all'interno della Chiesa. L'autorità va intesa come propriamente pastorale e va esercitata con umiltà e amore (Gv 2,15‑17; 1 Pt 5,1‑4). Pure essendo ordinati, i « chierici » hanno, però, bisogno generalmente di ricevere la facoltà prima di esercitare il loro ministero: per es., prima di udire le confessioni (cf CIC 966, 967). I parroci hanno un'autorità ordinaria delegata dal loro vescovo e possono delegare il diritto di battezzare e di benedire i matrimoni ad altri presbiteri e diaconi. Quelli che sono stati ordinati possono ricevere una giurisdizione; i laici possono collaborare nell'esercizio della stessa giurisdizione: per es., come giudici in tribunale (CIC 274, 129). Cf Clero; Ordine.

Giuseppinismo. 

Un tentativo dello Stato di diventate sovrano nelle cose ecclesiastiche, ispirato dall'Illuminismo e adottato da Giuseppe II d'Austria (Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1765 al 1790). Questi, per le sue interferenze in materie ecclesiastiche, fu soprannominato « l'Imperatore Sacrestano ». Col suo Editto di Tolleranza del 1781, furono soppressi gli Ordini religiosi contemplativi, ridotti i pellegrinaggi, e la giurisdizione sui benefici e sulle proprietà della Chiesa fu trasferita dal papa allo Stato. Sebbene in punto di morte Giuseppe II abbia ufficialmente revocato una parte di questa legislazione, il Giuseppinismo fu ufficialmente abolito soltanto nel 1850. Cf Chiesa e Stato; Illuminismo; Febronianismo; Gallicanesimo; Illuminismo.

Giustificazione. 

Il dono salvifico di integrità che rende gli esseri umani accetti a Dio. La rettitudine proviene dalla fede in Cristo (Rm 1,17; 9,30‑31) e non dalle opere della legge (Rm 3,28; Gal 2,16). I Luterani hanno enfatizzato il giudizio giustificante di Dio su coloro che hanno peccato (Rm 3,9‑12.23), mentre i Cattolici (e gli Ortodossi) hanno illustrato la grazia ricevuta che effettivamente trasforma i peccatori per opera dello Spirito Santo (Rm 5,5; 6,4; 2 Cor 5,17; DS 1580‑1581; FCC 8.113‑8.114). I due approcci, sebbene siano stati visti spesso come escludentisi reciprocamente, possono essere intesi come complementari e non come contraddicenti l'uno all'altro. Cf Deificazione; Fede e Opere; Grazia; Imputazione; Luteranesimo; Opere buone; Santificazione.

Giustizia. 

La caratteristica di rettitudine e di imparzialità di un buon giudice. Nell'AT, la giustizia di Dio è spesso sinonimo di fedeltà divina e di amore saldo (Mi 7,8‑20), ed è strettamente collegata con la misericordia (Sir 35,11‑24). Il re messianico manifesterà giustizia e sapienza (Is 11,3‑5; At 7,52). La giustizia di Dio si rivela nella salvezza elargita a coloro che credono in Gesù Cristo (Rm 3,1‑26) e che conducono una vita irreprensibile (Mt 5,6). La tradizione cristiana chiama la giustizia, insieme alla prudenza, alla temperanza e alla fortezza, una delle quattro virtù cardinali (Lat. « cardine »), perché un comportamento umano retto pratica queste virtù. Il papa Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987) ha evidenziato il male collettivo e le strutture di peccato che ostacolano la realizzazione della giustizia sociale, sia nazionale che internazionale. Cf Dottrina sociale; Opzione per i poveri; Teologia della liberazione; Virtù cardinali.

Giustizia originale. 

La situazione privilegiata dei primi esseri umani prima che cadessero nel peccato. Intesa per secoli come un periodo storico di tempo, questa giustizia originale va meglio intesa come un modo di parlare della nostra bontà in quanto creata e santificata da Dio (Gn 1,26‑31). Fino a tempi recenti, i teologi hanno elaborato un intero elenco di doni « preternaturali » o speciali che si ritenevano essere stati elargiti ad Adamo ed Eva. Cf Adamo; Caduta (La); Concupiscenza; Doni preternaturali; Eva; Grazia; Peccato originale.

Gloria (Lat. « gloria »). 

Inno molto antico ispirato dal canto degli angeli quando nacque Cristo (Lc 2,14). Nella Messa latina, viene recitato o cantato nelle solennità, domeniche (eccetto in Avvento e in Quaresima) e feste. In Oriente, fa parte delle preghiere del mattino. Cf Avvento; Domenica; Festa; Quaresima.

Gloria di Dio. 

Nell'AT, si chiama così la manifestazione radiante e maestosa della presenza di Dio (Es 33,8‑23). Con l'Incarnazione, la gloria del Figlio di Dio è già stata rivelata in questa vita (Gv 1,14), una gloria che ha raggiunto la sua pienezza nella sua morte e risurrezione (Gv 17,1.4‑5). Come gli angeli (Lc 2,14), anche gli uomini sono chiamati a dare gloria e lode a Dio (Lc 17,18; At 12,23). Cf Dossologia; Doxa; Epifania; Grazia.

Glossolalia (Gr. « parlare in lingue »). 

Suoni spezzati e incomprensibili di coloro che hanno questo carisma dello Spirito Santo nel lodare e nel pregare Dio (1 Cor 12,10.28.30; 13,1.8; 14,1‑27; cf Rm 8, 26). L'ispirazione profetica, un carisma più profondo e più utile, può interpretare per gli altri questi suoni. Nell'interpretare il fenomeno delle lingue come un miracolo che permetteva di parlare lingue straniere (At 2,4; cf Mc 16,7), san Luca si riferisce anch'egli alla glossolalia in un modo che assomiglia a quanto sappiamo da san Paolo nella prima lettera ai Corinzi (At 10,46; 19,6). Cf Carismi; Pentecoste; Pentecostali; Profeta; Spirito Santo.

Gnosi (Gr. « conoscenza »). 

È un modo di descrivere la vita eterna (Gv 17,3). Questa conoscenza vitale del Padre e del Figlio non è una pura percezione intellettuale delle cose, ma sorge da una relazione personale profonda (Gv 10,14‑15; 14,9). Per san Paolo, la conoscenza è imperfetta e addirittura inutile se non è animata dall'amore (1 Cor 13,2.9.12).

Gnosticismo. 

Movimento religioso dualistico, il quale

  a) attingeva dall'ebraismo, dal cristianesimo e dal paganesimo;

  b) emerse con chiarezza nel II secolo;

  c) presentava la salvezza come un complesso di elementi spirituali liberi dalla materia ambientale malvagia.

  Gli gnostici cristiani negavano l'incarnazione reale di Cristo e la salus carnis (Lat. « salvezza della carne ») da lui realizzata. Rifiutavano (o modificavano) la tradizione e le scritture sulle linee portanti del cristianesimo, vantavano una conoscenza privilegiata (di Dio e della nostra sorte umana) come frutto di tradizioni segrete e di rivelazioni. Gli scrittori ortodossi cristiani, specialmente sant'Ireneo (circa 130 ‑ circa 200) ci forniscono molte informazioni sullo gnosticismo. Una conoscenza diretta più profonda di questo movimento fu possibile dopo il 1945, quando cinquantadue scritti che trattavano dello Gnosticismo, in lingua copta e del IV secolo dopo Cristo, furono trovati a Nag Hammadi (Egitto). Cf Albigeismo; Bogomili; Demiurgo; Dualismo; Manicheismo; Regola di fede; Valentiniani.

Grazia (Lat. « favore »). 

Qualsiasi dono non dovuto o aiuto concesso da Dio liberamente e per amore, ma soprattutto il dono massimo e fondamentale di essere salvi in Cristo mediante la fede (Rm 3,21‑26; 4,13‑16.25; Ef 2,5‑8). Dio desidera elargire questa grazia a tutti gli uomini (1 Tm 2,4‑6). La pienezza di grazia di Cristo (Gv 1,16‑17) ci reca una nuova nascita (Gv 1,13; 3,3; 1 Pt 1,3‑5), e il dono dello Spirito Santo (Rm 5,5), ci rende figli adottivi di Dio (Rm 8,14‑16) e membra del Corpo di Cristo (1 Cor 12,27). L'autocomunicazione di Dio (chiamata spesso grazia increata) significa la deificazione della vita umana e innalza ad un livello nuovo e non dovuto il rapporto della creatura verso il Creatore, trasformando così la natura umana (= grazia creata) e anticipando la vita futura del paradiso. Fin dalle origini, i cristiani hanno riconosciuto il ruolo speciale dei sacramenti nella vita di grazia. Per esempio, è mediante la grazia del battesimo che i nostri peccati sono perdonati e che noi veniamo giustificati e santificati (1 Cor 6,9‑11). Cf Adozione a figli di Dio; Cielo; Deificazione; Doni dello Spirito Santo; Esistenziale, soprannaturale; Fede; Giustificazione; Pelagianesimo; Sacramento; Santificazione; Sistemi della grazia; Visione beatifica.

Grazia abituale. 

Termine che indica la vita nuova in Cristo recata dalla grazia (increata). È chiamata spesso grazia santificante perché è lo stato di chi è fondamentalmente santificato ossia reso santo dallo Spirito Santo. Distinta dalla grazia abituale, si ha la grazia attuale: questa è l'effetto dello Spirito Santo che viene incontro ad una necessità particolare o sostiene un'azione specifica. Cf Abito; Santità; Spirito Santo.

Grazia efficace.

Qualsiasi grazia offerta da Dio e che venga liberamente accettata. Quando gli uomini rifiutano questa grazia che viene loro offerta, la grazia si chiama (puramente) sufficiente.

Gregoriano. 

Cf Canto gregoriano.

Guerra giusta. 

 È una guerra che può essere considerata moralmente legittima. Sebbene il concetto fondamentale si trovi già in Cicerone (106‑43 a.C.), sant'Agostino di Ippona (354‑430) è ritenuto l'autore della teoria della guerra giusta. Egli riteneva la guerra un male minore quando la metteva a confronto con la selvaggia crudeltà di certe orde di barbari da cui era legittimo difendersi. Nel secolo XX, le condizioni che possono giustificare una guerra furono fissate in questo modo:

  a) la guerra deve essere una difesa ed una risposta ad un'aggressione ingiusta;

  b) ci deve essere una reale possibilità di successo per giustificare tutti i sacrifici del tempo di guerra;

  c) ci deve essere una proporzione tra il costo morale e fisico delle ostilità e la pace con il migliore ordine sociale che ne conseguirà;

  d) solo gli obiettivi militari, non i civili inermi, possono essere bersaglio delle azioni militari;

  e) la forza non deve mai essere usata come mezzo a sé stante o per infierire brutalmente contro l'ordine sociale e il personale militare.

  Siccome alcune di queste condizioni possono difficilmente riscontrarsi in una guerra nucleare, questo tipo di guerra non è ritenuto legittimo dalla maggioranza dei moralisti. Però, il problema di un deterrente nucleare è tuttora dibattuto (GS 79‑82). Cf Pace.