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Pace.

È così definita da sant'Agostino di Ippona (354‑430): « la tranquillità dell'ordine ». Sia per l'Antico che per il NT, la pace è molto più che la semplice assenza di guerra (cf Is 2,4; Mic 4,3; Mc 9,50; Lc 14,34). Shalom (Ebr. « salute », « pace ») è il benessere complessivo dato mediante l'unione con Dio, in particolare la pace salvifica associata con l'era messianica (Is 9,1‑7; 11,1‑9; 32,15‑20). Gesù ha proclamato beati gli operatori di pace (Mt 5,9). Risorto dai morti, egli ha portato quella pace che « il mondo non può dare » (Gv 14,27; 20,19.21; Col 3,15) e che comporta una solidarietà nuova (Gal 3,28; Ef 2,13‑18) effettuata mediante la sua morte e risurrezione (Col 1,20). I suoi discepoli devono proclamare la pace, il messaggio della salvezza escatologica (At 10,36; Rm 10,15; cf Mt 10,12‑13). Nell'Enciclica Pacem in terris (« Pace sulla terra ») del 1963, il papa Giovanni XXIII ha posto le sue speranze per una pace internazionale in un ordine sociale basato sulla libertà, la giustizia, l'amore e la verità. A sua volta, il papa Paolo VI nell'Enciclica Populorum progressio (« Il progresso dei popoli ») del 1967 ha chiamato lo sviluppo « il nome nuovo della pace » (14). Il Concilio Vaticano II ha insistito perché si facciano maggiori sforzi per la promozione della pace e della comunità dei popoli (GS 77‑90). Per il tramite della Commissione « Giustizia e Pace » e anche in tanti altri modi, la Santa Sede ha costantemente cercato di promuovere la pace internazionale. Negli Stati Uniti, la Conferenza Episcopale ha parlato profeticamente nel suo documento: La sfida della pace: la promessa di Dio e la nostra risposta (1983). Purtroppo, in questo nostro mondo, « la pace viene giù lentamente » (William Butler Yeats; 1865‑1939). Cf Giustizia; Guerra giusta; Messia; Non‑violenza; Regno di Dio; Salvezza; Tolleranza.

 

Padri apostolici.

Questa denominazione risale a Jean‑Baptiste Cotelier che nel 1672 pubblicò quegli scritti ortodossi più antichi, non biblici ma fioriti al tempo  degli Apostoli o poco dopo, cioè: la cosiddetta Lettera di Barnaba (primo secolo), san Clemente Romano (morto circa nel 96), sant'Ignazio di Antiochia (circa 35 ‑ circa 107), il Pastore di Erma (II secolo), san Policarpo di Smirne (circa 69 ‑ circa 155), come anche il racconto del suo Martirio, il più antico di questo genere letterario. Nel 1765, Andrea Gallandi vi aggiunse la Lettera a Diogneto, una difesa del cristianesimo, e Papia di Gerapoli (circa 60‑130). Nel 1883, Filoteo Bryennios pubblicò la Didaché (Gr. « insegnamento »), di autore anonimo. Questo lavoro fu ritenuto lo scritto più antico dell'intero gruppo. Questi scritti gettano una luce preziosa sul passaggio dalla Chiesa del Nuovo Testamento alla cristianità postapostolica. Alcuni studiosi moderni desiderano escludere quegli autori che probabilmente non sono collegati direttamente con gli Apostoli, o la cui mentalità non è così vicina al NT. Questo vorrebbe dire elencare tra i Padri Apostolici soltanto san Clemente, sant'Ignazio di Antiochia, san Policarpo e Papia, come anche san Quadrato (II secolo) che verso il 124 rivolse all'imperatore Adriano la più antica apologia sulla fede cristiana. Cf Apologisti; Didaché; Padri della Chiesa.

 

Padri cappadoci 

Titolo usato principalmente per tre santi Cappadoci: Basilio Magno (circa 330‑379), vescovo di Cesarea nella Cappadocia e organizzatore della vita monastica in Oriente; suo fratello Gregorio (circa 335 ‑ circa 395), vescovo di Nissa e teologo di profonda mistica; e Gregorio di Nazianzo (328‑389), prima vescovo di Sasima e poi per un certo tempo vescovo di Costantinopoli durante il Concilio Costantinopolitano I. Un cugino di Gregorio Nazianzeno è qualche volta catalogato tra i Cappadoci: sant'Anfilochio (circa 340 ‑ circa 394), vescovo di Iconio. Cf Concilio Costantinopolitano I; Essenza e Energie; Eunomianesimo; Padri della Chiesa; Tre Teologi (I).

 

Padri della Chiesa. 

Titolo popolare dato a certi cristiani dei primi secoli che scrissero in Greco, Latino, Siriaco e Armeno e la cui dottrina e santità personale ottennero l'approvazione generale nella Chiesa. « I Padri... sono ‑ anche se ognuno in maniera e misure molto diverse ‑ come i classici della cultura cristiana (Congregazione per l'Educazione Cattolica, Istruzione sullo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale, [1989]; n. 42). Nelle controversie teologiche, divenne tradizionale appellarsi ai Padri Greci e Latini e il loro consenso unanime è ritenuto argomento decisivo (cf DS 271, 510‑520, 2856, 3541; FCC 1.051, 2.013, 4.051‑4.057). In Occidente, si ritiene come ultimo Padre della Chiesa sant'Isidoro di Siviglia (circa 560‑636), mentre per l'Oriente l'ultimo è san Giovanni Damasceno (circa 675 ‑ circa 749). Cf Padri cappadoci; Patristica; Patrologia.

 

Padrino. 

Colui che tiene a battesimo o a cresima un candidato. Il Diritto Canonico stabilisce che almeno uno, ma possibilmente due, uno di ogni sesso, siano presenti alla cerimonia o almeno adempiano il loro compito per procura. I padrini devono essere scelti o dal candidato (se è adulto), o dai genitori o tutori del candidato, o dal parroco. Il padrino deve essere cattolico, avere già ricevuto il battesimo, la cresima e l'eucaristia, deve aver di solito almeno sedici anni di età e non essere il padre o la madre del battezzando. I nomi dei padrini sono registrati nel registro dei battesimi. Oltre a dare buon esempio e ad essere di sprone nella vita cristiana, i padrini si assumono la responsabilità dell'educazione cristiana nei riguardi dei loro figliocci qualora i genitori o chi ne fa le veci mancassero a questo loro dovere (cf CIC 774, 851, 872‑874). Nella cresima, è auspicabile che i padrini siano gli stessi del battesimo, in quanto i doveri che si assumono assomigliano a quelli che si sono assunti i padrini nel battesimo (CIC 892‑893, 895). Cf Battesimo; Confermazione; Impedimenti del matrimonio.

 

Pagani (Lat. « abitanti dei villaggi »). 

Termine usato inizialmente per coloro che al tempo dell'Impero romano vivevano in campagna e che, evangelizzati dopo le popolazioni delle città, divennero poi cristiani. Nell'AT, i goyim (Ebr. « nazioni ») o Gentili erano quelli che non conoscevano l'unico vero Dio (Dt 7,1; Sal 147,20). Mentre denunciava la loro idolatria, l'AT affermava anche l'interesse salvifico di Dio per i pagani (Is 2,1‑4; 49,6; 60,1‑3; Am 9,7; Giona). Abramo fu chiamato a mediare le benedizioni divine per l'intero genere umano (Gn 12,1‑3). L'AT presenta alcuni « santi pagani », come Melchisedech, la Regina di Saba, Giobbe e Rut. San Paolo proclama la volontà di Dio di giustificare sia gli Ebrei che i Gentili (Rm 3,29; 9,24; 15,8‑12; cf Lc 2,29‑32). I seguaci di alcune religioni non cristiane sono stati chiamati (in senso offensivo), « pagani » o « idolatri ». Certe superstizioni che si sono trovate ancora tra coloro che si sono convertiti al cristianesimo sono state etichettate come « pagane ». Il Concilio Vaticano II ha evitato sia il termine « pagano » che il termine « paganesimo », e ha preferito parlare delle « nazioni » (gentes) da evangelizzare. Cf Animismo; Cristiani anonimi; Evangelizzazione; Idolatria; Politeismo.

 

Palamismo. 

La sintesi teologica di Gregorio Palamas (circa 1296‑1359), monaco del Monte Athos e sostenitore di un metodo di preghiera chiamato esicasmo, praticato sul santo monte. Palamas è un santo della Chiesa greca ortodossa ed è considerato il più grande teologo bizantino del Medioevo. Per poter sostenere che gli esseri umani diventano genuinamente come Dio attraverso la deificazione senza intaccare la trascendenza di Dio, Palamas distingueva tra l'essenza divina inaccessibile e le divine energie mediante cui Dio si fa conoscere a noi e ci rende partecipi della vita divina. Dopo una controversia con Barlaam (circa 1290‑1348), monaco della Calabria e esperto sullo Pseudo‑Dionigi (V secolo), fu tenuto un sinodo a Costantinopoli (giugno 1341) che diede torto a Barlaam, mentre un altro sinodo (agosto 1341) impose il silenzio ad entrambi. Nel 1344, Palamas fu addirittura scomunicato come eretico. Nel 1347, però, un sinodo di Costantinopoli riconobbe la sua ortodossia ed egli fu consacrato arcivescovo di Tessalonica. Dovette, però, affrontare le critiche del monaco Gregorio Akindynos (=Acindino; circa 1300‑1349) che da amico gli era diventato nemico. Un terzo attacco gli venne dal filosofo umanista Niceforo Gregoras (circa 1294 ‑ circa 1359). Un sinodo di Costantinopoli nel 1351 condannò Gregorio Acindino, defunto da due anni e impose il silenzio a Niceforo Gregoras, riconoscendo così la piena ortodossia di Palamas. Nel 1368, nove anni dopo la sua morte, Palamas fu canonizzato. La sua festa è celebrata sia nella seconda domenica di Quaresima sia il 14 novembre. Cf Deificazione; Esicasmo; Essenza e energie; Monte Athos; Neo‑Palamismo.

 

Pallio (Lat. « mantello »). 

Una striscia circolare di lana bianca adornata di sei croci di colore viola con due strisce. Come simbolo della sua autorità apostolica, è indossato dal papa il quale sin dai tempi antichi lo ha conferito agli arcivescovi come segno di comunione e a certi vescovi come segno di onorificenza. Oggi, entro tre mesi dalla sua nomina, il metropolita (= arcivescovo) deve chiedere il pallio o richiedere un nuovo pallio se da una diocesi metropolita viene trasferito ad un'altra. Lo indossa all'interno della sua provincia ecclesiastica e poi solo in circostanze prescritte dalla liturgia. Nelle cerimonie della Chiesa orientale, i vescovi indossano un omophorion, una fascia ricamata che corrisponde al pallio. Cf Arcivescovo; Papa.

  Panenteismo (Gr. « ogni cosa in Dio »). Si chiama così un sistema che è stato sviluppato in vari modi da filosofi come Christian Kranse (1781‑1832), Friedrich Heinrich Jacobi (1743‑1819) e Charles Hartshorne (nato nel 1897) secondo cui Dio penetra talmente l'universo che ogni cosa è in Dio. A differenza dal panteismo, il quale sostiene che l'universo e Dio sono talmente identici che ogni cosa è Dio, il panenteismo afferma invece che, mentre abbraccia l'universo, l'essere di Dio lo trascende. Cf Panteismo; Teismo; Teologia del processo.

 

Panteismo (Gr. « tutto è Dio »). 

Dottrina che identifica Dio con l'universo. Sebbene il termine appaia per la prima volta nel 1709, i sistemi di pensiero panteista sono antichi almeno quanto l'Induismo. Alcuni interpretano il divino in termini naturali (panteismo naturalistico), come fa Benedetto Spinoza (1632‑1677); altri interpretano la natura in termini divini (panteismo emanazionistico), una tentazione dei pensatori mistici e neo‑platonici. Lo Pseudo Dionigi Areopagita (circa 500), Giovanni Scoto Eriugena (circa 810 ‑ circa 877), il cardinale Nicolò Cusano (1401‑1464), Maestro Eckart (circa 1260‑1327), Giordano Bruno (1548‑1600) e Jacob Boehme (1575‑1624) sono stati accusati, a ragione o a torto, di includere elementi panteisti nel loro pensiero. Una forma moderna di panteismo interpreta Dio come il grande « IO »: una visuale perlomeno molto vicina a idealisti come Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770‑1831), Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling (1775‑1854) e Francis Herbert Bradley (1846‑1924). Mentre lo si descrive spesso come una forma di ateismo, il panteismo può anche essere visto come una forma di teismo imprigionato. Il Concilio Vaticano I condannò il panteismo (DS 3023; cf anche 285, 722, 976‑977, 1043, 2843, 2901, 3201‑3216; FCC 1.036, 1.038‑1.039, 3.013‑3.030). Cf Ateismo; Emanazione; Idealismo; Immanenza; Induismo; Monismo; Natura; Neo‑platonismo; Panenteismo; Teismo; Trascendenza.

 

Pantocrator (Gr. « che governa tutto »).

Una rappresentazione maestosa di Cristo come legislatore sovrano dell'universo, di solito con le mani alzate per benedire. Due esempi celebri si hanno nella Chiesa degli apostoli a Costantinopoli e in Santa Sofia a Kiev. Cf Icona; Onnipotenza; Regno di Dio; Teocrazia.

 

Paolo.

Cf Privilegio paolino; Teologia paolina.

 

Papa (Gr. « padre »). 

Titolo che in origine era riservato in Oriente al vescovo di Alessandria, ma oggi è dato anche ai presbiteri (più esattamente: pope) a motivo della loro paternità spirituale. In Occidente, il titolo era dato una volta ai vescovi più importanti, ma, a partire dal secolo XI, finì per essere riservato al solo vescovo di Roma. Il capo della Chiesa Cattolica, il papa di Roma, è anche chiamato Vicario di Gesù Cristo e Patriarca dell'Occidente. Cf Collegialità; Giurisdizione; Infallibilità; Ministero Petrino; Presbitero; Primato; Vescovo.

 

Papismo.

Atteggiamento verso il Magistero e la vita della Chiesa che consiste nell'enfatizzare il ministero petrino del papa mentre si ignora il ruolo degli altri vescovi e quello che si può imparare dall'intero Popolo di Dio. Cf Collegialità; Ministero petrino; Papa; Sensus fidelium; Ultramontanismo.

 

Parabola (Gr. « paragone »). 

Un paragone tratto dalla natura (per es., il grano di senape in Mc 4,30‑32) o dalla vita umana (per es., il banchetto nuziale in Mt 22,1‑14) e narrato come una storia per rivestire e richiamare un insegnamento morale o religioso. Mentre si trovano già nell'AT (2 Sam 12,1‑14; e forse Is 5,1‑7), le parabole caratterizzano in un modo speciale la predicazione e l'insegnamento di Gesù. I Vangeli sinottici riportano molte parabole usate da Gesù per esortare i suoi uditori a riconoscere il dominio finale di Dio e a prendere le debite decisioni. Strettamente parlando, il Vangelo di Giovanni non contiene parabole, anche se il linguaggio circa il buon pastore (Gv 10,1‑19) e sulla vite e i tralci (Gv 15,1‑8) presenta elementi evidenti di parabole. Adolph Jülicher (1857‑1938), Charles Harold Dodd (1884‑1973) e Joachim Jeremias (1900‑1979) hanno arricchito la nostra comprensione circa le parabole di Gesù. Esse non sono, per esempio, allegorie in cui ogni particolare comporti un significato preciso. Le parabole si concentrano su un punto, anche se le parabole lunghe (per es., quella del Figliol prodigo, che si dovrebbe chiamare più esattamente: la parabola del Padre misericordioso, in Lc 15,11‑32) possono anche dare un significato mediante i loro elementi subordinati. Cf Allegoria; Critica biblica; Ermeneutica; Esegesi; Sensi della Scrittura.

 

Paraclesi (Gr. « supplica »). 

Il piccolo ufficio della Beata Vergine Maria usato nella Chiesa bizantina per i quindici giorni che precedono immediatamente la festa della kòimesis o dormizione della Madre di Dio (celebrata il 15 agosto). Cf Assunzione della Beata Vergine Maria; Liturgia delle Ore

 

Paraclito (Gr. « aiutante » o « assistente »). 

Termine applicato a Gesù stesso che intercede presso il Padre per la salvezza dei peccatori (1 Gv 2,1‑2). Nel Vangelo di san Giovanni, il termine è riferito allo Spirito Santo come aiutante (14,16; 14,26; 15,26; 16,7), come Spirito di verità che sarà mandato a dimorare nei discepoli e a guidarli per rendere testimonianza a Gesù e al suo insegnamento. Cf Spirito Santo.

 

Paradiso (Persiano « giardino recintato »).

Un parco cintato da un muro che contiene piante, frutti e animali esotici e connesso con un palazzo. Nei Settanta (LXX), questo è il « giardino dell'Eden », dove Adamo ed Eva vissero una volta e da dove furono cacciati dopo la loro caduta nel peccato (Gn 2,8‑10.15; 3,23‑24; Ez 28,13; 31,8; 36,35). Il termine « Paradiso » venne a designare il posto dei beati dopo la morte (Lc 23,43), il « terzo cielo » sopra la terra dove una volta san Paolo fu rapito in estasi (2 Cor 12,2‑4). Il libro dell'Apocalisse promette la vita nel « paradiso » di Dio, dove i beati avranno da mangiare « dell'albero della vita » (Ap 2,7; 22,12.14). Cf Cielo; Escatologia; Settanta.

 

Parenesi (Gr. « esortazione, consiglio »).

Predicazione intenta a far crescere la comunità con raccomandazioni o avvisi pratici. San Paolo « ammonisce » il personale di una nave sbattuta dalla tempesta mentre sta navigando verso Malta (At 27,9.22). Lo stesso Paolo, Pietro e Barnaba « esortano » uditori vari (At 2,40; 11,23; 14,22). Si trovano passi parenetici nelle lettere paoline (cf Rm 6,1‑4; 1 Cor 5,7ss; Col 3,1‑4), alle volte come elenchi di azioni virtuose (per es., Rm 12,1‑21), o di vizi (Rm 13,13). La parenesi può essere piuttosto generica (come avviene verso il termine delle lettere paoline), o può fermarsi su problemi particolari (1 Cor 11,17‑22.27‑34). Cf Teologia morale.

 

Parlare in lingue. Cf Glossolalia.

 

Parola di Dio. 

« Auto‑rivelazione di Dio nella storia (DV 1‑5, 26), in quanto (a) espressa; (b) scritta e (c) incarnata.

  a) La parola di Dio è creatrice (Gn 1,1-2,4) e efficace (Is 55,10‑11). Dio ha parlato per mezzo dei profeti dell'AT (Eb 1,1; 2 Pt 1,21). Gesù ha proclamato la parola di Dio (Lc 5,1), come hanno fatto gli Apostoli (At 13,5; 17,13; 1 Ts 2,13) e i loro successori nel predicare con verità il « vangelo di Dio » (1 Ts 2,9), una realtà che è ad un tempo rivelatrice e salvifica (Rm 1,15‑17; 1 Cor 1,18; 2 Cor 2,14‑16).

  b) Scritte sotto la speciale ispirazione dello Spirito Santo (Rm 15,4; 2 Tm 3,16; 2 Pt 1,20‑21; cf DV 11), le Scritture sono la parola di Dio che illumina e nutre la liturgia, l'insegnamento e la vita della Chiesa.

  c) Il Figlio di Dio preesistente è la Parola che « si è fatta carne » (Gv 1,14), la personale auto‑comunicazione di Dio.

  Cf Ispirazione; Lògos; Parola e Sacramento; Preesistenza; Profeta; Rivelazione.

 

Parola e sacramento. 

La parola di Dio e il suo segno correlativo, simbolo eo evento. Nel Vangelo di Giovanni, le parole (3,34; 5,24; 8,31; 15,3) e i segni (Gv 2,11.18.23; 3,2; 4,54) di Cristo sono ordinati a comunicare la « verità » (rivelazione) e la « vita » (salvezza). Origene (circa 185 ‑ circa 254) associò la parola e il simbolo nella sua teologia della Parola preesistente e incarnata che ci manifesta il Padre. Riguardo alla parola e al simbolo nella vita cristiana, sant'Agostino di Ippona ha parlato del sacramento come di una parola visibile. La Riforma, specialmente nella tradizione calvinista, ha sottolineato unilateralmente la parola a spese del segno e del sacramento. Il Concilio Vaticano II ha inteso l'autocomunicazione di Dio come una venuta, non della sola parola, né del solo evento significante, ma come interazione di eventi e di parole (cf DV 2, 4, 14, 17). Cf Rivelazione; Sacramento; Simbolo.

 

Parresia (Gr. « audacia nel parlare »). 

La franchezza priva di paura con cui gli Apostoli proclamavano pubblicamente il messaggio di Cristo crocifisso e risorto nonostante l'incarcerazione e le minacce di punizioni e di morte (cf At 2,29; 4,13.29.31; 28,31). Paolo mostra questa franchezza nel parlare alle sue comunità (2 Cor 7,4). I Cristiani devono manifestare un coraggio del genere nei loro rapporti con Dio (cf 1 Gv 3,21; 5,14) e nell'aspettare il giorno del giudizio (1 Gv 2,28; 4,17). La parresìa cristiana trova il suo modello nel modo con cui Gesù proclamò il suo messaggio ad un mondo ostile (Gv 7,26; 18,20). Cf Virtù cardinali.

 

Parrocchia (Gr. « vicinanza »). 

Suddivisione di una diocesi che ha un suo presbitero e gode di una certa autonomia sotto la giurisdizione del vescovo del luogo (cf CIC 374, 515). Siccome un vescovo non può presiedere dovunque nella sua diocesi, designa dei sacerdoti come parroci e organizza le parrocchie (SC 42; CD 32). In esse, le persone vengono incorporate nella Chiesa attraverso il battesimo (CIC 858), i giovani ricevono l'istruzione religiosa, viene esercitato il lavoro missionario (AA 10; AG 37), ci si prende cura dei malati, dei bisognosi e degli anziani. Il centro della vita parrocchiale è la celebrazione dell'Eucaristia e la proclamazione della Parola di Dio (cf CD 30). Cf Vescovo; Cappellano; Diocesi; Ordinario; Pastore.

 

Partenogenesi (Gr. « parto verginale »).

La generazione di un bambino senza l'intervento del padre umano. Si è alle volte sostenuto che il racconto della concezione di Gesù derivasse da leggende pagane circa donne che hanno partorito bambini famosi mediante l'intervento di divinità maschili. Simili leggende sono radicalmente differenti dal racconto della concezione verginale come si trova nei racconti dell'infanzia di Matteo e di Luca. Cf Concepimento verginale di Gesù.

 

Parusia (Gr. « presenza », « arrivo »).

La visita ufficiale di un sovrano. Nei primi documenti cristiani (1 Ts 4,15; 1 Cor 15,23), il termine parusìa indica il ritorno di Cristo nella gloria al termine della storia per giudicare il mondo (Mt 24,29‑31; 25,31‑46). Sarà questo « il giorno del Signore » (1 Cor 1,8) quando Cristo « apparirà una seconda volta » (Eb 9,28). I cristiani devono aspettare questa venuta con pazienza (Gc 5,7‑8; 2 Pt 1,16; 3,4.12; 1 Gv 2,28). I Sinottici connettono l'attesa della fine con l'ammonimento alla vigilanza (Mt 24,36-25,13; Mc 13,1‑37; Lc 21,5‑36). Il Vangelo di Giovanni parla della risurrezione che avverrà nell'« ultimo giorno » (Gv 6,39.40.44.54; 11,24). La futura venuta di Cristo nella gloria per giudicare i vivi e i morti è professata in vari simboli di fede (cf DS 6, 10, 13‑17, 19, 76 e 150; FCC 0.509, 0.514, 5.004). Gli Orientali sottolineano la dimensione collettiva di quel compimento futuro più di quanto non lo facciano gli Occidentali. Alcuni teologi contemporanei preferiscono non parlare di « seconda » venuta, in quanto la parusìa non è altro che la conseguenza finale della prima venuta di Cristo nell'incarnazione. Con Karl Rahner (1904‑1984), possiamo dire che sarà il mondo che verrà a Dio nella parusìa più che il Cristo al mondo. Cf Cielo; Escatologia; Giudizio universale; Inferno; Risurrezione.

 

Pasqua. 

È la festa più antica e più importante dell'anno cristiano in cui si celebra la risurrezione di Gesù Cristo dai morti. Inizialmente, a quanto pare, veniva celebrata ogni domenica, mentre i Giudeo‑cristiani continuavano ad osservare la Pasqua ebraica. Questo era destinato a creare un contrasto, in quanto il messaggio cristiano proclamava che la liberazione d'Israele dall'Egitto era ormai superata e sostituita dalla risurrezione di Cristo (1 Cor 5,7). La prassi di stabilire un giorno speciale per celebrare annualmente la risurrezione di Cristo portò ad una controversia tra i cristiani dell'Asia Minore che celebravano la festa nel giorno stesso in cui cadeva la Pasqua ebraica (14 di Nisan, detti perciò « quartodecimani ») e gli altri cristiani che la celebravano la domenica seguente. Queste controversie esistono tuttora. Gli Ortodossi, anche dopo aver accettato la riforma gregoriana del calendario, continuano però a seguire il calendario giuliano per la festa di Pasqua. Il recente sviluppo ecumenico ha tuttavia prodotto un accordo tra i Cattolici d'Oriente e gli Ortodossi sulla data della Pasqua ogni quattro anni. Nel calendario gregoriano, la data di Pasqua varia tra il 21 marzo e il 25 aprile. Cf Calendario gregoriano; Mistero pasquale; Pasqua ebraica; Risurrezione.

 

Pasqua ebraica. 

Festa ebraica celebrata in famiglia in primavera al tempo della luna piena di marzo e che ricorda l'esodo dall'Egitto (Es 12,1‑28; Dt 16,1‑8). Nel pomeriggio del 14 di Nisan, venivano sacrificati gli agnelli pasquali; la stessa sera, nella cena pasquale, si mangiava pane non lievitato con agnello arrostito. Che sia stata una cena pasquale (secondo i Sinottici), oppure no (secondo Giovanni), l'Ultima Cena, seguita il giorno dopo dalla crocifissione di Gesù e poi dalla sua risurrezione, coincise comunque con la Pasqua ebraica e con la festa ad essa collegata dei pani azzimi che durava una settimana (Mc 14,1‑2.12‑16). Di qui i cristiani compresero molto presto che la morte e la risurrezione di Gesù avevano portato a compimento l'esodo originale e la memoria che ne faceva la Pasqua ebraica. Gesù fu visto come l'Agnello pasquale il cui sacrificio liberatore tolse il peccato del mondo (Gv 1,29; 1 Cor 5,7). Cf Pasqua; Risurrezione; Settimana Santa.

Passione (Lat. « soffrire »).

 Nella filosofia aristotelica, in quanto applicato all'essere contingente e in contrasto con l'agire, il termine « passione » significa l'essere cambiato. Nella teminologia cristiana, per « Passione » si intendeno le sofferenze e la crocifissione che Gesù subì per la nostra salvezza (cf 1 Pt 2,21‑25). I quattro Vangeli terminano tutti con un racconto dettagliato della sua passione (Mt 26‑27; Mc 14‑15; Lc 22‑23; Gv 18‑19). La domenica delle Palme si legge il racconto della Passione di uno dei Sinottici, e il Venerdì Santo dal Vangelo di Giovanni. Cf Redenzione; Riscatto; Salvezza; Settimana Santa.

 

Pasto cultuale. 

Pasto mediante il quale gli adoratori riconoscono e entrano in comunione con la loro divinità nel modo più eminente. Nel cristianesimo, l'atto supremo di adorazione è l'Eucaristia, banchetto sacrificale e spirituale datoci da Gesù Cristo nella sua morte e risurrezione. Così, anticipando la sua venuta finale, possiamo ringraziare e unirci con Dio. Cf Eucaristia; Messa; Sacrificio della Messa.

 

Pastorale. Cf Teologia pastorale; Ufficio pastorale.

 

Pastore.

Termine applicato ai capi dell'AT (Ger 2,8; 3,15) e a Dio come buon pastore (Ez 34,1‑31; Sal 23,1‑4). Cristo fu mandato per le pecore smarrite d'Israele (Mt 10,6; 15,24; cf Lc 15,3‑7). Come buon pastore, Gesù dà la sua vita per le pecore (Gv 10,11‑16; cf Eb 13,20; 1 Pt 2,25). Egli chiama altri a fare da pastori nella Chiesa, ma i fedeli rimangono sempre il suo gregge (Gv 21,15‑17; 1 Pt 5,1‑4). Tra i Protestanti, il ministro ordinato che presta servizio in una chiesa locale è spesso chiamato « pastore », come anche presso i cattolici in certe parti della Germania (cf CIC 519). Cf Ministri; Parroco; Popolo di Dio; Presbitero; Vescovo.

 

Patriarca (Gr. « padre che governa »).

Nome dato ad Abramo, Isacco, Giacobbe, ai dodici figli di Giacobbe e a Davide (Gn 12,50; At 2,29; 7,8‑9; Eb 7,4). A partire dal VI secolo, il titolo venne dato ai vescovi di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Questi patriarchi esercitarono una grande autorità, come quella di designare i vescovi per le diocesi più importanti e di giudicare gli appelli alla loro giurisdizione. Il Concilio Niceno I (325) riconobbe questo ruolo di Roma e affermò la priorità di Alessandria su Antiochia. Il Concilio Costantinopolitano I (381) conferì a Costantinopoli un primato di onore dopo Roma, in quanto Costantinopoli è « una seconda Roma » (can. 3), cosa che il Concilio di Calcedonia (451) nel ventottesimo canone (che il papa Leone I non approvò mai) estese fino ad affermare che Costantinopoli era seconda solo a Roma in giurisdizione. Il Concilio Costantinopolitano IV (869‑870), riconosciuto di solito dai cattolici come l'ottavo concilio ecumenico, sancì il primato di Roma e elencò i patriarcati in questo ordine di dignità: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme (riconosciuta come patriarcato dal Concilio di Calcedonia; cf DS 661). Il Concilio Lateranense IV (1215) e il Concilio di Firenze (1438‑1445) ripeterono lo stesso elenco di patriarcati e nello stesso ordine (DS 811; 1307‑1308; FCC 7.159‑7.160). Riguardo alle Chiese d'Oriente unite a Roma, il Concilio Vaticano II riconobbe le loro tradizioni, i loro diritti, i loro privilegi e la loro giurisdizione (OE 7‑10). Stabilì inoltre che, « dove sia necessario, si erigano nuovi patriarcati, la cui fondazione è riservata al Concilio Ecumenico o al Romano Pontefice » (OE 11). Questo fu suggerito da molti teologi in vista di future unioni tra le Chiese sorelle e Roma. Il Vaticano II propose anche direttive generali per una riunione con le Chiese d'Oriente separate da Roma (UR 13‑18), « tra le quali tengono il primo posto le Chiese patriarcali » (UR 14). Cf Autocefalo; Chiese Orientali; Ortodossia; Ortodossi Orientali; Pentarchìa; Primato.

 

Patriarca ecumenico (Gr. « patriarca universale »).

Titolo usato dai patriarchi di Costantinopoli a partire dal VI secolo. Cf Oikoumène; Primato.

 

Patripassianismo (Lat. « sofferenza del Padre »).

Termine coniato da Tertulliano (circa 160 ‑ circa 220) per quella forma di Monarchianismo o Modalismo sostenuto da Prassea (vissuto verso il 200). Tertulliano lo mise in derisione dicendo che costui aveva cacciato lo Spirito e crocifisso il Padre. Un altro modalista, Noeto (vissuto anch'egli verso il 200) asseriva che era stato il Padre a nascere e poi a morire sulla croce. Cf Modalismo; Monarchianismo; Sofferenza di Dio.

 

Patristica (Lat. « studio dei Padri »). 

Lo studio della teologia dei Padri della Chiesa. Il termine è stato spesso usato superficialmente come sinonimo di patrologia. Cf Padri della Chiesa; Patrologia.

 

Patrologia (Gr. « studio dei Padri »).

Termine forgiato nel XVII secolo per indicare lo studio dei Padri della Chiesa. Un'istruzione del 1989 sullo studio dei Padri (emanata dalla Congregazione per l'educazione cattolica) distingue la « patrologia » come studio storico e letterale dei Padri, dalla « patristica » come studio del loro pensiero teologico. Cf Padri della Chiesa; Patristica.

 

Peccato.

Qualsiasi pensiero, parola o fatto che trasgredisca deliberatamente la volontà di Dio e che in qualche modo respinga la bontà e l'amore di Dio. A cominciare dal peccato di Adamo e Eva (Gn 3,1‑24), l'AT narra la storia del peccato umano e della sua schiavitù (cf GS 37). Con la denuncia ripetuta dell'idolatria e dell'ingiustizia, i profeti affermano la responsabilità personale per le mancanze peccaminose (Ger 31,29‑30; Ez 18,1‑4). L'AT chiama il peccato hatta (Ebr. « sbagliare il segno »), pesha (Ebr. « trasgredire gli ordini », « rivoltarsi contro i superiori ») e awon (Ebr. « colpa che nasce dall'iniquità ») (cf Sal 51,3‑5). Come l'AT (Gn 6,5; 8,21; Ger 17,9), Gesù vede che il peccato viene dal cuore (Mc 7,20‑23). Il Vangelo di san Giovanni vede il peccato come incredulità nei riguardi di Cristo, un preferire le tenebre alla Luce del mondo (Gv 3,16‑21; 9,1‑41; 11,9‑10). Sin dall'inizio, i Cristiani hanno confessato che Cristo è morto « per i nostri peccati » (1 Cor 15,3; cf Rm 4,25; Eb 2,11‑14). La tradizione protestante è stata impressionata dalle riflessioni di san Paolo sulla forza del peccato che corrompe e rende schiavi gli esseri umani (Rm 1,18-3,23; 5,12‑21; 6,15‑23). La Tradizione ortodossa vede il peccato come distruzione della koinonìa (Gr. « comunione ») con Dio, con gli altri e col creato. La tradizione cattolica, come il cristianesimo occidentale in genere, ha avuto la tendenza a considerare le conseguenze individuali del peccato più che le ferite che vengono inferte alla comunità. Però, l'enciclica di Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, del 1987 (cf 36‑37) manifesta un senso rinnovato della dimensione sociale del peccato (cf GS 25). Cf Caduta (La); Cuore; Espiazione; Grazia; Koinonìa; Metànoia; Peccato originale; Riparazione; Riscatto; Sacramento della Penitenza; Salvezza; Sette peccati capitali.

 

Peccato mortale e peccato veniale. 

Distinzione tra quei peccati che « escludono dal regno di Dio » (1 Cor 6,9‑10; Gal 5,19‑21; Ef 5,5) e quelli che non escludono (Gc 3,2; 1 Gv 1,8; 5,16‑17). Un peccato mortale comporta un allontanamento deliberato e radicale da Dio fatto con chiara conoscenza e pieno consenso in una materia veramente grave (cf DS 1537, 1544, 1680‑1682; FCC 8.070, 8.077; 9.240, 9242). Porta come conseguenza la perdita della grazia santificante e il rischio della dannazione eterna. Il peccato veniale (Lat. « scusabile ») offende, sì, il rapporto con Dio e con gli altri, ma non comporta un'opzione fondamentale contro Dio. Il Codice del 1983 parla di peccati veniali (CIC 988) e di peccati « gravi » anziché di peccati mortali. Cf Grazia abituale; Inferno; Opzione fondamentale; Sacramento della penitenza.

 

Peccato originale.

Inteso tradizionalmente come la perdita della grazia e ferita della natura subìta dai nostri progenitori, questo intaccò tutte le generazioni successive. Questo concetto è stato sviluppato sulla base della Scrittura (soprattutto: Gn 3,1‑24; Sal 51,7 e Rm 5,12‑21) e la prassi antica di battezzare anche i bambini perché venissero liberati dal peccato originale. Sant'Agostino di Ippona (354‑430) sostenne contro Pelagio che, siccome i bambini non sono capaci di commettere peccati personali, il « peccato » da cui vengono liberati non può essere altro che una peccaminosità ereditata. La dottrina del peccato originale (DS 496, 621, 1510‑1516; FCC 3.054, 3.060, 4.037, 8.043) esprime non solo la condizione di peccato in cui nascono tutti gli esseri umani, ma anche il fatto che la nuova vita di grazia che viene attraverso il battesimo non è un diritto « naturale », ma un libero dono di Dio. Così, il peccato originale si riferisce alla nostra solidarietà umana nel peccato e alla nostra comune chiamata alla vita soprannaturale in Cristo. I cristiani orientali, mentre praticano il battesimo dei bambini, non hanno sviluppato una teologia sul peccato originale. I Protestanti hanno spesso accentuato esageratamente il peccato originale e i suoi effetti dannosi. Cf Battesimo dei bambini; Caduta (La); Concupiscenza; Corruzione totale; Immacolata Concezione; Luteranesimo; Pelagianesimo; Soprannaturale; Teologia naturale.

 

Pelagianesimo. 

Eresia riguardante la grazia, iniziata con Pelagio (vissuto verso il 400), monaco bretone o irlandese il quale, prima a Roma e poi nel Nord Africa, insegnò che gli esseri umani possono raggiungere la salvezza coi loro soli sforzi. Il peccato originale non sarebbe altro che un cattivo esempio dato da Adamo ma che non recò nessun danno spirituale ai suoi discendenti e, in particolare, lasciò intatto l'uso naturale della libera volontà. Riducendo la grazia al buon esempio dato da Cristo, Pelagio esortava ad una vita ascetica intensa e patrocinava una Chiesa elitaria. Sant'Agostino di Ippona (354‑430) gli si oppose strenuamente. Il Pelagianesimo fu condannato in vari concili del Nord Africa (DS 222‑230; FCC 3.049‑3.050, 8.001‑8.007), da due papi e dal Concilio di Efeso nel 431 (DS 267‑268). Cf Agostinianismo; Messaliani; Peccato originale; Semi‑pelagianesimo.

 

Pellegrinaggio.

Viaggio di devozione presso luoghi sacri. Questa pratica è comune al cristianesimo e ad altre religioni del mondo. Dopo la conversione dell'imperatore Costantino nel 312, i pellegrinaggi in Terra Santa e presso le tombe dei martiri a Roma aumentarono. Altre méte tradizionali e moderne di pellegrinaggi cristiani sono san Giacomo di Compostella (Spagna), i santuari mariani di Lourdes (Francia), di Fatima (Portogallo), e dell'isola di Tinos (Grecia) dove gli Ortodossi venerano in modo speciale la dormizione di Maria. Cf Assunzione della Beata Vergine Maria; Martiri.

 

Penitenza. Cf Sacramento della penitenza; Virtù della penitenza

 

Pentarchia (Gr. « governo di cinque »).

Una teoria, popolare specialmente nel primo millennio, secondo cui la Chiesa cristiana una e indivisa doveva essere governata dai patriarchi di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Con lo scisma fra l'Oriente e l'Occidente (definitivo solo col rifiuto del Concilio di Firenze), le Chiese greche ortodosse parlarono di tetrarchìa (Gr. « governo di quattro »). Però, l'idea di una pentarchìa non è mai stata interamente abbandonata e suggerisce alcune possibilità ecumeniche. Cf Codice dei Canoni delle Chiese Orientali; Concilio di Firenze; Patriarca; Primato; Scisma.

 

Pentateuco (Gr. « cinque libri »).

Nome comune tra i Cattolici e gli Ortodossi per designare i primi cinque libri della Bibbia (= Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio), chiamati dagli Ebrei « la Toràh » e da alcuni Protestanti « i primi cinque libri di Mosè ». La tradizione che ritiene Mosè per autore va intesa nel senso che gran parte della storia e della legislazione riportate in questi libri si ispira a Mosè. Seguendo alcune intuizioni di Jean Astruc (1684‑1766), Johann Gottfried Eichhorn (1752‑1827) ritiene come fonti del Pentateuco il documento Jahvista (J) e quello Elohista (E). Julius Wellhausen (1844‑1918) scoprì un'altra fonte, il Codice Sacerdotale (P), a cui in seguito fu aggiunta la fonte Deuteronomista (D), e si hanno così le cosiddette quattro Fonti. Oggi, una maggiore attenzione alle tradizioni orali e ad altri fattori ha modificato qualsiasi teoria netta e precisa circa i quattro documenti preesistenti (J, E, P e D) da cui semplicemente sarebbero stati scritti i libri del Pentateuco. Cf Antico Testamento; Bibbia; Toràh.

Pentecostali.

Certe comunità cristiane che accentuano il battesimo nello Spirito e i doni speciali, come la guarigione, la profezia e il parlare in lingue (1 Cor 14,1‑40). Queste assemblee ebbero origine nel Kansas e in California all'inizio del XX secolo. A partire dagli anni '60, molti gruppi carismatici di preghiera sono sorti nella Chiesa Cattolica e nelle altre principali Chiese cristiane. Sono aperti al rinnovamento nello Spirito e si servono dei loro carismi (1 Cor 12,4‑11) per il bene dell'intero Popolo di Dio. A differenza dei Pentecostali, questo rinnovamento non organizza assemblee distinte, ma mira ad aiutare tutti i battezzati a fare esperienza della loro vita nuova nello Spirito. Cf Carismi; Glossolalia; Miracolo; Profezia; Spirito Santo.

Pentecoste (Gr. « il cinquantesimo giorno »).

Oltre alla festa di Pasqua (cinquanta giorni prima) e la Festa dei Tabernacoli in autunno, la terza festa più importante degli Ebrei era quella che in origine celebrava il raccolto del grano e in seguito la Legge data a Mosè sul Monte Sinai. Come festa cristiana, la Pentecoste ricorda il giorno in cui lo Spirito Santo scese sui discepoli, Pietro predicò al popolo e ai pellegrini che si trovavano a Gerusalemme e circa tre mila persone accolsero il suo messaggio e si fecero battezzare (At 2,1‑42). Dalle Costituzioni Apostoliche e dalla pellegrina Eteria, sappiamo che nei Luoghi Santi i cristiani celebravano già questa festa nel IV secolo. Il dodicesimo canone del Concilio di Nicea I (325) parla della « Pentecosté » come del periodo che va dal giorno di Pasqua alla prima domenica dopo Pentecoste, periodo in cui era vietato il digiuno e le preghiere, che camprendevano molti Alleluia, si dicevano in piedi. La Festa di Pentecoste è anche chiamata nei paesi di lingua inglese Whitsunday, inglese antico per White Sunday (= domenica bianca) probabilmente perché era un giorno (l'ultimo giorno?) in cui i neofiti (battezzati di recente) indossavano i loro abiti bianchi. Nella liturgia bizantina, la celebrazione di Pentecoste occupa due giorni consecutivi: nella domenica, si celebra la pienezza della rivelazione della Trinità (mentre nel rito latino, la Trinità viene festeggiata la domenica successiva che si chiama appunto « domenica della Santissima Trinità »); il lunedì, poi, si ricorda la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Cf Pasqua ebraica; Pentikostàrion; Spirito Santo.

 

Pentikostàrion.

È il libro dei propri liturgici stagionali usato nella liturgia bizantina per gli uffici divini dalla domenica di Pasqua fino alla domenica di Pentecoste compresa. Cf Ottoeco; Pasqua; Pentecoste.

 

Pentimento. Cf Metànoia. 

Perfezione. 

La condizione di coloro che sono maturi, completi e senza biasimo (Gb 1,1). Il discorso della Montagna indica Dio come l'ideale della nostra perfezione (Mt 5,48), un intento che è strettamente connesso con l'impegno totale nella legge dell'amore (Mc 12,28‑34; Col 3,14), e che costituisce la ricerca di tutta la vita (Fil 3,12). Tutti i battezzati sono chiamati alla perfezione, e alcuni alla pratica dei « tre consigli di perfezione »: povertà volontaria (Mt 19,21), astensione completa da rapporti sessuali (cf Mt 19,10‑12) e obbedienza ad un superiore religioso. Cf Amore; Santità; Vita religiosa.

 

Pericoresi cristologica (Gr. « che va attorno »).

L'interpenetrazione della natura divina e di quella umana di Cristo. Mentre entrambe rimangono intatte e non confuse, combaciano senza separazione o divisione (cf DS 112, 113, 115, 1301, 1331; FCC 6.001‑6.003, 6.070, 6.075). Cf Concilio di Calcedonia; Incarnazione; Unione ipostatica.

Pericoresi trinitaria. 

 La presenza, inerenza e interpretrazione reciproche delle tre persone divine. San Gregorio Nazianzeno (329‑389) introdusse questo termine che acquistò il suo pieno significato tecnico con san Giovanni Damasceno (circa 675 ‑ circa ‑ 749). Cf Relazioni divine; Trinità immanente.

 

Persona (Lat. « maschera di un attore »)

Termine usato originariamente per indicare il ruolo compiuto da uno sul palco o nella vita. Boezio (circa 480 circa 524) definì classicamente la persona come « rationalis naturae individua substantia » (Lat. « una sostanza singola di natura razionale »). Lungo i secoli, furono esplicitati o aggiunti vari aspetti di ciò che è una persona: relazione, incomunicabilità, autocoscienza, libertà, doveri, diritti e dignità inalienabili. Per Immanuel Kant (1724‑1804), la persona umana è un assoluto che non può mai essere usato come mezzo, ma deve sempre essere rispettata come fine morale in sé. Oggi, si sottolinea molto il fatto che le persone sono sempre persone‑in‑relazione, che si costituiscono attraverso le relazioni con gli altri e con l'ambiente. Cf Ipostasi; Io e Tu; Personalismo; Persone della Trinità; Trinità immanente.

 

Personalismo.

Una filosofia centrata sull'unico valore delle persone umane. Da una parte, si oppone alle ideologie totalitarie (che subordinano il bene dei singoli a quello della collettività), al « behaviorismo » e a qualsiasi psicologia che consideri gli esseri umani come casi da studiare e da interpretare semplicemente in termini delle loro funzioni e reazioni. D'altra parte, il vero personalismo esclude qualsiasi individualismo egoistico intento unicamente ai propri « interessi » a danno degli altri. Molti (pure diversi) pensatori possono essere chiamati personalisti: per esempio, Nicola Berdiaev (1874‑1948), E. S. Brightman (1884‑1953), Martin Buber (1878‑1965), Ferdinando Ebner (1882‑1931), Emmanuel Mounier (1905‑1950) e Michael Polanyi (1891‑1976). Cf Persona.

 

Persone della Trinità.

Sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che possiedono l'unica natura divina e sussistono in relazione fra di loro. Nel parlare delle Persone divine, i Padri Greci preferivano la parola ipostasi (Gr. « individuo sussistente ») alla parola pròsopon (Gr. « volto ») che avrebbe potuto insinuare un puro modalismo (« tre volti di Dio »). Avevano difficoltà ad accettare la parola latina persona, anche se Tertulliano (circa 160 ‑ circa 225) aveva introdotto questo termine proprio per combattere il modalismo di Prassea. Per parte loro, i teologi occidentali temevano e combattevano le tendenze triteistiche (« tre dèi ») nel parlare della Trinità. Cf Ipostasi; Modalismo; Ousìa; Patripassianismo; Persona; Relazioni divine.

 

Pessimismo (Lat. « tendenza ad aspettarsi il peggio »).

È una visuale del mondo che sottolinea la presenza del male e pensa che prima o poi esso finirà per vincere. Contro l'ottimismo di Goffredo Guglielmo Leibniz (1646‑1716) e la sua affermazione secondo cui « questo è il migliore dei mondi », Voltaire (1694‑1778), scosso dal tremendo terremoto di Lisbona, scrisse il suo lavoro Candido (1759). Pur riconoscendo che il peccato ed altri mali turbano e danneggiano la nostra condizione umana, i cristiani attingono speranza nella loro vita di grazia ed aspettano la vittoria definitiva della risurrezione universale (Rm 8,18‑25; Ap 21,1‑4). Cf Escatologia; Grazia; Mistero del male; Peccato originale.

 

Pietismo.

Un movimento revivalista del Protestantesimo che ricevette forma da Filippo Giacobbe Spener (1635‑1705) e che (per reagire all'ortodossia formalista prevalente della Chiesa ufficiale), enfatizzò la preghiera, la lettura della Bibbia, l'esperienza religiosa ed impegnò la vita cristiana in piccole comunità. Altri nomi importanti di questo movimento sono: lo scrittore di inni Paul Gerhardt (circa 1607‑1676), Nicola Lodovico Graf von Zinzendorf (1700‑1760) ed il mistico Gerhard Tersteegen (1697‑1769). Il pietismo favorì la nascita del Metodismo ed influenzò teologi come Federico Daniele Ernesto Schleiermacher (1768‑1834). Cf Luteranesimo; Metodismo; Protestante; Protestantesimo liberale.

 

 

Pietro.

Cf Ministero petrino.

 

 Pisside (Gr. « bossolo »).

Vaso più grande di un calice, che contiene le particole che vengono consacrate per la comunione o per essere conservate nel tabernacolo. Cf Calice.

 

Platonismo.

La filosofia ispirata da Platone (427‑347 a.C.) la cui Accademia rimase un centro di pensiero, anche se non necessariamente di platonismo, fino a quando fu chiusa dall'imperatore Giustiniano I (483‑565) nel 529 d.C. I famosi Dialoghi in cui Platone presenta Socrate che discute coi Sofisti ed altri, convergono su un tema centrale: le asserzioni circa la giustizia, la verità, la bontà, la bellezza ed altre realtà nel nostro mondo mutevole e visibile sono valide se possono essere « universalizzate », e questo orienta verso un mondo più ampio di Idee eterne, immutabili ed universali. Le nostre anime preesistevano in quel mondo e godono di una conoscenza innata che deriva dalla loro precedente visione delle Idee. Clemente di Alessandria (circa 150 ‑ circa 215) e Origene (circa 185 ‑ circa 254) attinsero molto da Platone. Origene accettò perfino la preesistenza dell'anima umana (cf DS 403‑404; FCC 3.027). Inizialmente, fu il platonismo « medio » con la sua accentuazione dell'assoluta trascendenza di Dio ad influenzare i Padri. In un certo senso, la crisi dell'Arianesimo fu una crisi di questa forma di platonismo. Il neo‑platonismo ebbe il suo impatto su sant'Agostino di Ippona (354‑430), sui suoi discepoli e sui platonici del Rinascimento come Marsilio Ficino (1433‑1499). Diversamente dall'Occidente, dove l'aristotelismo finì più o meno per prevalere, in Oriente il platonismo dominò con umanisti come Michael Psellus (circa 1019 ‑ circa 1078) e con teologi che illustrarono la deificazione col concetto platonico di partecipazione. Matthew Arnold (1822‑1888) era del parere che ognuno nasce o platonico o aristotelico. Comunque, Alfred North Whitehead (1861‑1947) diede la precedenza al maestro di Aristotele asserendo che tutta la filosofia non è altro che una serie di note in calce a Platone. Cf Agostinianismo; Arianesimo; Aristotelismo; Deificazione; Idealismo; Neo‑platonismo; Origenismo; Padri della Chiesa; Teologia alessandrina; Universali.

 

Pleroma (Gr. « pienezza »).

Nelle lettere paoline, il termine si riferisce alla pienezza di Dio (Ef 3,19), alla piena misura della divinità di Cristo (Col 1,19; 2,9), alla Chiesa in quanto pienezza di Cristo che penetra l'universo (Ef 1,23) e alla pienezza del tempo quando fu mandato il Figlio di Dio a farsi uomo (Gal 4, 4). Gli Gnostici applicavano il termine plèroma agli attributi del Figlio, i quali attraverso una serie di emanazioni preparano il passaggio al kènoma (Gr. « vuotezza », « vuoto »). Cf Emanazione; Gnosticismo; Kenosi.

 

Pluralismo. 

Concezione filosofica che non cerca di ridurre ogni cosa a un solo principio ultimo. A seconda di come si accetta una varietà di culture, di partiti politici o di confessioni religiose, il pluralismo assume una forma culturale, politica o religiosa. In reazione ad un rigido uniformismo, il Concilio Vaticano II accolse una diversità conveniente nelle tradizioni e nel culto cristiano (SC 37; UR 14‑17). Pochi mesi dopo aver annunciato il 25 gennaio 1959 la sua intenzione di convocare il Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII ricordò la massima tradizionale: « In essentialibus unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas » (Lat. « unità nelle cose essenziali, libertà in quelle discutibili, carità in tutte »). Alcuni distinguono un « pluralismo » che spezza la vera unità della fede e della teologia da una legittima « pluriformità » mediante cui la fede cristiana si esprime in modi vari. Cf Chiesa e Stato; Chiese Orientali; Coscienza classica; Dualismo; Libertà religiosa; Monismo; Rito.

 

Pneumatologia (Gr. « studio dello Spirito Santo ») 

Si chiama così quel settore della teologia che studia lo Spirito Santo. Le lettere di san Paolo attestano il ruolo dello Spirito nella rivelazione di Dio, nel condurre alla fede, nell'ispirare la preghiera, nel dimorare nella Chiesa, nel benedire la comunità con vari carismi e nel portare al compimento finale tutto e tutti in Cristo (Rm 8,1‑27; 1 Cor 2,10‑16; 12,1‑11; Gal 4,6). Spesso, lo Spirito Santo non è stato studiato in un trattato specifico, ma nel contesto di altri temi importanti come la teologia trinitaria, l'ecclesiologia, l'antropologia soprannaturale e la teologia sacramentaria. La « trascuratezza » di questo tema corrisponde a ciò che san Basilio Magno (circa 330‑379) chiamava il carattere kenotico (Gr. « vuoto ») dello Spirito che viene nell'anonimato a confermare in noi l'immagine del Figlio. Per mutuare un'immagine di Gustave Flaubert (1821‑1880), si può dire che lo Spirito Santo agisce in un certo modo come un autore nelle sue opere: è dovunque e in nessuna parte in particolare. In un certo senso, lo studio dello Spirito appartiene a tutti i settori della teologia anziché essere limitato ad uno particolare. Il Concilio Vaticano II, per esempio, nel suo insegnamento sulla Chiesa (LG 3‑4, 9‑17), fa vedere come le riflessioni cristologiche e quelle pneumatologiche si postulano e si completano reciprocamente. Cf Cristologia; Grazia; Spirito Santo; Trinità.

 

Pneumatomachi (Gr. « che combattono lo Spirito »).

Una sètta della fine del IV secolo che negava la piena divinità dello Spirito Santo. Sono chiamati anche Macedoniani, probabilmente perché dopo la morte del vescovo Macedonio di Costantinopoli (morto verso il 362) si fusero con i suoi seguaci. Furono condannati nel Concilio Costantinopolitano I (381) che definì la divinità dello Spirito Santo, ma senza chiamare lo Spirito consostanziale col Figlio (cf DS 150‑151; FCC 0.509). Cf Concilio Costantinopolitano I; Concilio di Nicea I; Macedoniani; Spirito Santo.

 

Poligamia (Gr. « molti matrimoni »)

L'avere più di una moglie (o più di un marito) contemporaneamente. Al tempo dei patriarchi dell'AT e anche dopo (Dt 21,15‑17), la poligamia era ammessa. Appellandosi al piano originario di Dio (Gn 2,24), Gesù difese la monogamia (Gr. « un solo matrimonio ») e respinse il divorzio e il matrimonio dopo il divorzio che equivale ad una poligamia susseguente (Mc 10,2‑12). Il Concilio Vaticano II condannò la poligamia in quanto contraria alla vera dignità del matrimonio (GS 47). Cf Matrimonio.

 

Poligenismo (Gr. « molte origini »).

La teoria secondo cui la stirpe umana non proviene da una coppia originaria di antenati, come afferma il monogenismo, ma da parecchie. L'enciclica Humani Generis (1950) di Pio XII mise in guardia contro il poligenismo in quanto non sembra chiaramente conciliabile con la dottrina del peccato originale e con la sua trasmissione a tutti i discendenti di Adamo ed Eva (DS 3897; FCC 3.072). Dopo il 1950, teologi di fama e di sicura ortodossia, appoggiandosi su una esegesi seria e su una interpretazione più accurata di Rm 5,12‑19, hanno proposto vari modi per conciliare la fede nel peccato originale col poligenismo. Nello stesso tempo, però, alcuni biologi odierni sostengono che la nostra stirpe deriva non da molte famiglie, ma da una sola. Cf Creazione; Evoluzionismo; Peccato originale.

 

Politeismo (Gr. « credere in molti dèi »).

È la credenza che ci siano molte divinità, spesso raggruppate attorno ad una divinità suprema in un pàntheon (Gr. « tutti gli dèi »). Esisterebbe fra di loro una certa gerarchia e personificherebbero le varie esperienze e funzioni della vita. Le religioni politeiste furono praticate nelle culture antiche dell'Africa, dell'Asia, della Grecia, di Roma e si possono trovare anche in certe culture moderne. Alcuni studiosi hanno sostenuto che nella storia delle religioni del mondo il politeismo sarebbe giunto ad un certo momento al livello più alto di monoteismo, mentre, secondo altri, sarebbe stato il monoteismo a cadere nel politeismo. I dati storici e antropologici sembrano troppo complessi perché si possano accettare simili teorie sempliciste. Cf Monoteismo; Teismo.

 

Politica.

Cf Teologia politica.

 

Popolo di Dio.

Israele in quanto popolo eletto di Dio, messo da parte dalle altre nazioni e prediletto da Dio con una alleanza speciale (Es 5,1; 19,3‑6; Dt 4,20; 7,6‑8; Is 43,20‑21; Ger 31,33; Sal 100,3). Per il NT, coloro che credono nel Cristo formano il nuovo popolo di Dio (Rm 9,25‑26; 1 Pt 2,9‑10; Ap 21,3). Il Concilio Vaticano II usò il termine « Popolo di Dio » come una designazione fondamentale della Chiesa (LG 9‑17) e il tema è stato poi sviluppato da alcuni esponenti della teologia della liberazione. Cf Alleanza; Berith; Chiesa; Ecclesiologia; Teologia della liberazione.

 

Positivismo. 

La filosofia resa popolare da Augusto Comte (1798‑1857) secondo cui conosciamo solo ciò che percepiamo attraverso i sensi. Si respingono perciò gli intenti teologici e metafisici, e si aspira a riorganizzare la società su linee scientifiche. Tra le due guerre mondiali, i positivisti logici, come Alfred Ayer (1910‑1989), hanno sostenuto che solo le asserzioni che sono o tautologiche o che possono essere attestate dall'osservazione empirica sono dotate di significato. Questo principio non è né tautologico né aperto alla verifica di queste osservazioni. Cf Materialismo; Metafisica; Scienza e religione.

 

Potenza obbedienziale (Lat. « potenza sotto obbedienza »).

È la natura umana in quanto aperta alla grazia divina. Il termine risale a san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274) e al beato Pietro di Tarantasia (circa 1224‑1276), conosciuto anche come papa Innocenzo V. Nella teologia post‑tridentina, questa apertura umana a Dio fu spesso interpretata in forma statica. Henri de Lubac (1896‑1991) e altri hanno usato il termine per indicare come gli esseri umani sono dinamicamente aperti alle iniziative di Dio. Cf Grazia.

 

Potere di giurisdizione.

Cf Gerarchia; Giurisdizione; Ordinazione.

 

Potere di ordine. 

Cf Gerarchia; Giurisdizione; Ordinazione.

 

Povertà. 

a) La condizione di coloro che sono privi dei beni e servizi essenziali come vitto, vestito, alloggio e, per analogia, la situazione di coloro che in vari modi sono poveri spiritualmente. L'Enciclica di Giovanni Paolo II del 1987 Sollicitudo rei socialis (cf nn. 14‑19), come anche molti pastori della Chiesa ed altri cristiani, hanno denunciato profeticamente le condizioni di vita sub‑umane a cui sono costretti milioni di persone a causa di guerre, armamenti militari, avidità delle nazioni ricche ed altri fattori.

  b) Come consiglio evangelico, la povertà significa la rinuncia volontaria alla proprietà privata per seguire Cristo più da vicino (cf Mc 10,17‑22; 2 Cor 8,9), servire gli altri più liberamente e testimoniare più visibilmente il valore assoluto del Regno di Dio (PC 13). Il CIC sintetizza ciò che è essenzialmente implicato nella pratica del consiglio evangelico della povertà negli istituti di vita religiosa e consacrata.

  Cf Anawim; Beatitudini; Consigli evangelici; Diritti umani; Dottrina sociale; Giustizia; Opzione per i poveri; Teologia della liberazione; Vita religiosa; Voto.

 

Pragmatismo (Gr. « credere nelle cose »).

Un movimento filosofico americano iniziato da Charles Sanders Peirce (1839‑1914) e sviluppato da William James (1842‑1910) e John Dewey (1859‑1952). Nell'illustrare la realtà dell'esperienza, questa scuola attestava la verità delle asserzioni con i risultati pratici. Dewey, in particolare, ebbe una profonda influenza sul pensiero e sull'educazione americana. Il pragmatismo influenzò anche George Tyrrell (1861‑1909) ed altri modernisti. Cf Filosofia; Modernismo.

 

Prassi (Gr. « fare, compiere »).

Attività auto‑critica che non si accontenta di un'asserzione puramente teorica della verità, ma mira a verificare la verità col trasformare la società. Il discepolato cristiano richiede una prassi centrata su Gesù, e lungi dal disprezzare il culto pubblico della Chiesa, porta ad esso ed è un suo frutto. Cf Ortodossia; Ortoprassi; Scuola di Francoforte; Teologia politica.

 

Preamboli della fede. 

I presupposti della fede cristiana che possono essere esplicitati per mostrare come l'atto di fede è anche un atto umano razionale. Da una parte, l'esperienza umana, specialmente nei suoi aspetti più profondi, può aiutare ad ascoltare e ad accogliere con fede la parola rivelata. D'altra parte, l'accettazione della auto‑comunicazione di Dio in Cristo presuppone una qualche conoscenza di Dio, della sorte umana (cf Rm 1,19‑20; 2,15; Eb 11,6) e della storia del Gesù terrestre. Cf Analisi della fede; Fede.

 

Predestinazione (« ordinare prima »). 

Essere eletti alla salvezza mediante l'eterna prescienza e volontà di Dio (cf Mt 20,23; Gv 10,29; Rm 8,28‑30; Ef 1,3‑14). La controversia pelagiana portò sant'Agostino di Ippona (354‑430) a formulare alcune asserzioni estremiste sulla elezione da parte di Dio: dalla « massa di peccato » che è la stirpe umana, Dio elegge alcuni per la salvezza eterna. Negando la volontà salvifica universale di Dio, Giovanni Calvino (1509‑1564) sosteneva una duplice predestinazione: alcuni sono eletti da Dio per la salvezza eterna e gli altri per la dannazione eterna. Questa teoria è stata sostenuta dal monaco Gottescalco (circa 804 ‑ circa 869) condannata in sinodi a Magonza e a Quiercy (cf DS 621, 685, 1567; FCC 8.043, 8.100). Mentre rivendica giustamente il primato della grazia divina da cui dipendiamo in grado sommo, la predestinazione non va, però, spinta fino al punto di negare o la volontà salvifica universale di Dio (1 Tm 2,3‑6), o la libertà umana. Cf Apocatàstasi; Calvinismo; Grazia; Libertà; Merito; Molinismo; Pelagianesimo; Prescienza; Providenza; Salvezza.

 

Predicazione. 

L'atto di proclamare la Parola di Dio nel culto cristiano, o di invitare alla conversione e al culto. Preceduto da Giovanni Battista (Mc 1,1‑8), Gesù ha proclamato la Buona Novella di Dio (Mc 1,14‑15) ed ha mandato i Dodici a predicare (Mc 6,7‑13). Pietro (Gal 2,7‑8), Paolo e altri missionari cristiani hanno proclamato il vangelo di Gesù crocifisso e risorto dai morti come Cristo, Signore e Figlio di Dio (Rm 1,1‑6.15‑16; 10,14‑18; Gal 1,15‑16). Tra i grandi predicatori cristiani vanno ricordati: san Giovanni Crisostomo (circa 347‑407), sant'Agostino di Ippona (354‑430), il vescovo Giacomo Benigno Bossuet (1627‑1704), Luigi Bourdaloue (1632‑1704), John Wesley (1703‑1791), John Henry Newman (1801‑1890). L'Ordine dei Predicatori » è il nome dato all'Ordine religioso fondato da san Domenico di Guzman (1170‑1221). Di fronte alla rivoluzione moderna dei mezzi di comunicazione sociale, lo stile di predicazione è cambiato notevolmente per servire meglio le sfide dell'evangelizzazione. Cf Catechesi; Culto; Evangelizzazione; Kèrigma; Omiletica; Parola di Dio; Proclamazione.

 

Preesistenza. 

La fede secondo cui Gesù di Nazaret eraè personalmente identico col Figlio di Dio il quale è esistito da tutta l'eternità ed è entrato in questo mondo per manifestarsi nella storia umana (Gv 1,14; 1 Cor 8,6; 2 Cor 8,9; Fil 2,5‑11; Col 1,15‑17; Eb 1,2‑3). Quantunque il pensiero ebraico pre‑cristiano ammettesse intermediari tra Dio e il mondo, non ci sono precedenti che si possano dimostrare per il concetto della piena preesistenza personale di Cristo come Figlio di Dio e Lògos che « scende » su questa terra. Nell'ebraismo pre‑cristiano, la Sapienza e il Lògos sono soltanto metafore vivaci che indicano attributi e attività di Dio. Platone (427‑347 a.C.) parlava delle idee preesistenti che servivano da modelli al demiurgo per fare il mondo. La sua filosofia incoraggiò Origene (circa 185 ‑ circa 254) a sostenere che Dio aveva creato spiriti il cui uso o abuso della libera volontà li avrebbe resi angeli o demoni, o anche trasformati in anime abitate da corpi umani. Cf Cristologia dall'alto; Demiurgo; Eternità; Incarnazione; Lògos; Sapienza.

 

Prefazio (Lat. « detto prima »).

Originariamente, nel rito latino, indicava qualsiasi preghiera « detta davanti » al popolo. Adesso, si riferisce unicamente a quella preghiera che introduce il « Ca

none » nella Messa latina e che elenca i motivi per cui si deve lodare Dio. I Prefazi variano coi periodi dell'anno (per es., Avvento, Quaresima, Pasqua e Pentecoste) come anche a seconda delle varie feste (per es., quelle della Beata Vergine Maria, degli Apostoli, dei Martiri). Cf Eucaristia; Liturgia; Preghiera eucaristica.

 

Preghiera. 

È definita tradizionalmente con Evagrio Pontico (346‑399): « il dialogo della mente con Dio », o, con san Giovanni Damasceno (circa 675 circa 749): « elevazione della mente a Dio ». La parola « mente » non va qui intesa come un modo puramente intellettuale: la preghiera coinvolge anche la nostra libertà e i nostri sentimenti. Dio è presente in un modo che va ben oltre la presenza di due « partners » umani dialoganti. Pregare vuol dire: invocare, adorare, lodare, ringraziare, esprimere pentimento, chiedere grazie al nostro Creatore e Signore personale. La preghiera può essere espressa ad alta voce o silenziosamente nel cuore, può essere fatta da soli o con altri, all'interno della liturgia ufficiale o fuori di essa. Gesù ha pregato in pubblico ed in privato (per es., Mc 1,35; 6,46; 14,12‑26.32‑42), ha insegnato ai suoi discepoli a pregare (Mt 6,9‑13; 7,7‑11; Lc 11,1‑4), con loro ha ereditato la preghiera tradizionale dell'AT rappresentata classicamente dai Salmi. La ricchissima raccolta di preghiere del NT è condensata nei primi capitoli del Vangelo di Luca (Lc 1,46‑55.68‑79; 2,14.29‑32). I cristiani sanno che lo Spirito Santo rende possibile la loro vita di preghiera (Rm 8,15.26‑27; Gal 4,6). Cf Acemeti; Ascesi; Contemplazione; Culto; Esicasmo; Filocalìa; Intercessione; Liturgia; Liturgia delle ore; Meditazione; Mistica; Preghiera impetratoria; Preghiera di Gesù; Teologia apofatica; Teologia catafatica.

 

Preghiera del cuore. Cf Esicasmo; Preghiera di Gesù.  

Preghiera del mattino. Cf Lodi. 

Preghiera di Gesù. 

Una preghiera popolare degli Orientali che consiste nel ripetere il nome di Gesù in una breve formula: « Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me ». Ci sono molte varianti, fra cui l'aggiunta russa alla fine: « peccatore ». La preghiera di Gesù, che echeggia invocazioni (Mc 10,47‑48; Lc 23,42) e acclamazioni (1 Cor 12,30) già presenti nel NT, proviene da una spiritualità monastica desiderosa di pregare sempre (cf Lc 18,1; Ef 6,18; 1 Ts 5,17). A partire dal XIII secolo, è stata spesso accompagnata da una tecnica di respiro. Cf Esicasmo; Filocalia.

 

Preghiera eucaristica.

La preghiera che è al centro dell'Eucaristia e che nella liturgia romana è chiamata « canone ». Alcune forme successive sembrano essere varianti della prima preghiera eucaristica sviluppata pienamente e che si trova nella Tradizione Apostolica (circa 215), spesso attribuita a sant'Ippolito di Roma. Con alcune varianti nell'ordine, una preghiera eucaristica contiene i seguenti elementi: un dialogo introduttorio tra il celebrante e l'assemblea, una preghiera di lode e di ringraziamento, il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia, l'anàmnesi che ricorda le azioni salvifiche di Dio, l'epìclesi che invoca la discesa dello Spirito, le commemorazioni o intercessioni, e la dossologia finale. Cf Anàmnesi; Anàfora; Canone; Dossologia; Epìclesi; Intercessione.

 

Preghiera impetratoria (Lat. « ottenere col chiedere »).

Pregare Dio per le proprie necessità e per quelle altrui. Questa preghiera è legittima nella misura in cui preghiamo Dio di esaudirci secondo la sua volontà e per il nostro vero bene (Gn 18,22‑33; Mt 6,9‑13; 7,7‑11; Lc 11,1‑13; cf DS 957‑959). Cf Intercessione; Preghiera.

 

Preparazione al Natale.

In Occidente, si chiama Avvento. I Siriani Orientali chiamano la loro preparazione che abbraccia le quattro domeniche prima di Natale, subàra (in Siriaco: « Annunciazione »). I Siriani Occidentali fanno altrettanto nelle sei domeniche che precedono il Natale. Entrambi celebrano in questa stagione l'annunciazione a Maria e la nascita di san Giovanni Battista. Nella tradizione bizantina, questo periodo che precede il Natale comincia il 15 novembre e comprende un digiuno di quaranta giorni, chiamato alle volte « digiuno di Filippo », perché comincia il giorno dopo la festa dell'Apostolo san Filippo. Cf Annunciazione; Avvento; Calendario liturgico; Digiuno; Liturgia.

 

Presbiterianesimo. 

Una forma di governo di Chiesa che si distingue, da una parte, dall'episcopalismo o governo dei vescovi, e, dall'altra, dal congregazionalismo o governo della comunità. Il governo comprende una serie di commissioni fino all'Assemblea Generale coi ministri rappresentanti e gli anziani che vi partecipano dopo che sono stati eletti. I Presbiteriani sono nella tradizione di Giovanni Calvino (1509‑1564) e del riformatore scozzese John Knox (circa 1505‑1572). La Chiesa di Scozia è l'unica Chiesa presbiteriana ad essere anche una Chiesa di Stato. Cf Anziani; Calvinismo; Episcopaliani; Teologia congregazionalista.

 

Presbitero (Gr. « anziano »). 

Termine usato per i capi di una sinagoga, per i membri del Sinedrio giudaico o del supremo concilio di Gerusalemme, e per coloro che erano a capo delle prime comunità cristiane (cf At 11,30; 14,23). In origine, pare che « presbiteri » fosse sinonimo di episkopoi (Gr. « ispettori ») (cf Fil 1,1; Tt 1,5.7). Nella Chiesa di Gerusalemme, i « presbiteri » erano collaboratori degli Apostoli (At 15,2.4.6.22‑23; 16,4). Al tempo di sant'Ignazio di Antiochia (circa 35 ‑ circa 107), i presbiteri (o sacerdoti) erano una categoria che veniva dopo gli ispettori (o vescovi) e prima dei diaconi. Il decreto del Concilio Vaticano II sui sacerdoti è intitolato Presbyterorum Ordinis (1965). Cf Anziani; Diacono; Sacerdoti; Vescovo.

 

 Prescienza. 

 La conoscenza di Dio di tutti gli eventi futuri. Siccome alcuni eventi futuri dipendono in parte dalla scelta umana, sorge il problema di come conciliare la prescienza divina con la libertà umana. Cf Libertà; Predestinazione; Profeta; Sistemi della grazia.

 

Presenza reale.

Tra le varie presenze del Cristo risorto nel nostro mondo, la presenza per eccellenza (SC 7) è quella eucaristica. Dopo la consacrazione nella Messa, Cristo è presente col suo corpo, sangue, anima e divinità sotto le specie del pane e del vino (cf DS 1637; 1640‑1641, 1651‑1653; FCC 9.136, 9.139, 9.149.9.151). Cf Consacrazione; Eucaristia; Transostanziazione.

 

Preziosissimo sangue

Cf Sangue di Cristo.

 

Primato (Lat. « prima sede » ).

L'ufficio del vescovo capo, ossia primate in una Chiesa e il rispetto dovuto al suo rango. Primato di onore significa la presidenza nei sinodi e nelle assemblee, ma non comporta un'autorità speciale oltre la propria diocesi, come è il caso dell'arcivescovo di Canterbury nella Comunione Anglicana. Il primato di giurisdizione del papa comporta invece una reale autorità nel governo pastorale dell'intera Chiesa (cf DS 875, 3059‑3060, 3063‑3064 e 3074; FCC 7.150, 7.184‑7.185, 7.188‑7.189, 7.198). Molti Ortodossi riconoscono al Papa un primato di onore, ma non una reale giurisdizione. Comunque, quando Giovanni Paolo II visitò Costantinopoli nel 1979, il Patriarca Demetrio I lo salutò con le parole di sant'Ignazio di Antiochia (circa 35 ‑ circa 107) che descriveva la Sede Romana come quella che « presiede nella carità », titolo prestigioso che indica un servizio pastorale per l'intera Chiesa. Nella Chiesa Armena come anche in quella Siriana, il primate è chiamato catholicos (Gr. « capo generale »). Cf Autorità; Chiesa Apostolica Assiriana d'Oriente; Cristianità Armena; Diocesi; Giurisdizione; Papa; Sinodo; Vescovo.

 

Priscillianismo.

Un'eresia del IV secolo capeggiata dallo spagnolo Priscilliano, predicatore e già vescovo di Avila. Questa eresia dualistica mutuava elementi dallo Gnosticismo e dal Manicheismo e seguiva le tendenze sabelliane nell'interpretare « Padre », « Figlio » e « Spirito Santo » come tre puri modi o aspetti, cioè, tre maniere di considerare lo stesso Dio. La reazione a questa eresia accelerò gli sviluppi della dottrina trinitaria e la Spagna fu la prima nazione cattolica a fare uso del « Filioque » nella sua professione di fede. Nel 386, nonostante le proteste di san Martino di Tours (morto nel 397), Priscilliano fu messo a morte dalle autorità civili di Treviri (cf DS 188‑208, 283‑286, e 451‑464; FCC 3.001, 3.003, 3008, 5.006, 6.019‑6.023). Cf Dualismo; Gnosticismo; Manicheismo; Modalismo; Patripassianismo.

 

Privilegio paolino. 

Il diritto di risposarsi che hanno quelle persone che si sono convertite al cristianesimo e trovano che il loro consorte non cristiano vuole separarsi o non permette loro di praticare pacificamente la religione cristiana (CIC 1143). San Paolo per primo affermò questo privilegio (1 Cor 7,12‑15). Cf Impedimenti del matrimonio; Matrimoni.

 

Probabilismo. 

Un sistema di teologia morale caratterizzato dal principio secondo cui se, dopo aver cercato di arrivare alla certezza, rimane un dubbio oggettivo circa l'esistenza di una legge o sulla sua applicazione, è lecito agire in base ad un'opinione puramente probabile, anche se l'opinione opposta, favorevole a un'interpretazione più stretta, può apparire più probabile. Questo sistema, sostenuto dai Gesuiti e da altri, fu contrastato dal probabiliorismo, un sistema adottato dai Domenicani nel 1656 il quale permetteva di seguire soltanto quelle opinioni che avevano una maggiore evidenza a loro favore. Sant'Alfonso de' Liguori (1696‑1787), fondatore dei Redentoristi, con la sua posizione mediana, fornì un appoggio al probabilismo, il sistema oggi comunemente accettato (cf DS 2725‑2727). Cf Giansenismo; Lassismo; Rigorismo; Teologia morale.

 

Processioni.

Termine teologico per indicare il modo con cui la seconda e la terza persona della Trinità hanno origine dal Padre. L'origine del Figlio dal Padre è chiamata anche « generazione », o « filiazione », mentre quella dello Spirito dal Padre e dal Figlio è chiamata anche « spirazione » (cf DS 150, 804; FCC 0.509, 6.064). Sant'Agostino di Ippona (354‑430), seguito dagli scolastici medievali, interpretò la generazione del Figlio come atto di auto‑conoscenza da parte del Padre, mentre lo Spirito « procede » dal reciproco amore del Padre e del Figlio. Cf Filioque; Scolastica; Teologia trinitaria; Trinità immanente.

 

Proclamazione.

Annunciare Cristo (Col 1,28) e il vangelo (1 Cor 9,14) con lode e ringraziamento. Questo può avvenire mediante l'evangelizzazione a « quelli di fuori », o anche all'interno della liturgia, come nell'Exsultet, o proclamazione della veglia pasquale, e nell'Eucaristia che proclama « la morte del Signore finché egli venga » (1 Cor 11,26). Cf Anàmnesi; Dossologia; Evangelizzazione; Kèrigma; Omelia; Predicazione; Profeta.

 

Professione di fede (o Simbolo).

Versione sintetica dei punti principali della fede cristiana. In risposta alle domande circa il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, le professioni di fede (o simboli) si sono sviluppate in collegamento con il battesimo. Le controversie e le eresie hanno costretto la Chiesa a chiarire ulteriormente le dottrine espresse nelle professioni di fede (o simboli).

 

Profeta.

Si chiama così colui che è ispirato dallo Spirito di Dio per parlare eo per agire in un certo modo. Interpretando gli eventi passati e presenti ed annunciando quelli futuri, i profeti dell'AT hanno parlato in base a una profonda conoscenza di Dio, hanno predicato la fedeltà all'Alleanza e si sono opposti all'osservanza puramente esteriore della Legge. Chiamati da Dio (Is 6,1‑13; Ger 1,4‑19; Ez 1,1-3,27), i profeti hanno annunciato la Parola di Dio al popolo. I conflitti tra i profeti hanno evidenziato i criteri per identificare quelli veri che parlavano a nome di Dio (1 Re 22; Ger 27‑28). Il NT incontrò problemi del genere nell'attestare e nel discernere la profezia (1 Cor 14,37‑40; 1 Ts 5,19‑21). Riconosciuto come profeta (Mc 6,15; 8,28), o come il profeta (Gv 6,14; 7,40; cf Dt 18,15.18), Gesù parlò e agì da profeta (Mc 11,15‑18; 13,1‑2; Lc 11,29). Mentre si inserì nella linea dei profeti (Mt 13,57; Lc 13,34), Gesù affermò anche di essere « più » dei profeti, dei re, delle persone e dei luoghi sacri dell'AT (per es., Mt 12,15‑21.41‑42). Il NT fa notare ripetutamente come le attese profetiche si siano compiute in Gesù. Il carisma profetico è continuato nelle comunità del NT (Rm 12,6; 1 Cor 12,28‑30; 14,29.32) e nella Chiesa successiva. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato la partecipazione dei battezzati all'ufficio profetico di Cristo (LG 12,35). Cf Antico Testamento; Carisma; Gesù Cristo; Islamismo; Sacerdoti.

 

Profezia. Cf  Profeta. 

 

Prolessi (Gr. « anticipazione »).

Il principio dell'anticipazione reale che proviene dal modo con cui la risurrezione di Cristo rappresenta in anticipo quello che succederà al termine della storia (1 Cor 15,20. 28) e illumina la natura della grazia e dei sacramenti come l'inizio reale della nostra vita di gloria (Gv 6,54; Rm 6,3‑8; 1 Cor 11,26). Il teologo di Monaco di Baviera Wolfhart Pannenberg (nato nel 1928) si appella al principio della prolessi per affrontare una vasta gamma di problemi teologici e filosofici. Cf Escatologia; Storia.

 

Propiziazione. 

È una spiegazione della redenzione che descrive l'ira di Dio placata con la morte sacrificale di Cristo. Questa spiegazione poggia su una interpretazione errata di alcuni passi del NT (per es., Rm 3,25; 8,3; 2 Cor 5,21; Gal 3,13). I termini appropriati per il riscatto (per es., espiazione e sacrificio) vanno accuratamente distinti dal linguaggio di propiziazione che molti autori cattolici e protestanti hanno purtroppo usato fino al secolo XX. Cf Espiazione; Redenzione; Riscatto; Sacrificio; Soddisfazione.

 

Proseliti (Gr. « Coloro che hanno seguito »). 

Pagani convertiti all'ebraismo (cf Mt 23,15; At 2,11), o anche « timorati di Dio » che osservavano solo una parte della legge ebraica (cf At 10,2; 13,43).

 

Proselitismo. 

Nel passato, proselitismo era spesso sinonimo di evangelizzazione. Di fatto, il Concilio Vaticano II ribadì il diritto della Chiesa di evangelizzare e di operare conversioni (AG 7; DH 13‑15). Però, oggi il termine proselitismo ha quasi sempre il significato negativo di costringere o comunque di fare pressioni su qualcuno perché accetti una data fede. Le società civili e religiose hanno spesso condannato questo tipo di proselitismo, che è deplorato anche dal Vaticano II (AG 13; DH 4). Nel dialogo ecumenico con le Chiese ortodosse d'Oriente, il proselitismo è uno dei problemi dibattuti oggi. Cf Conversione; Evangelizzazione; Libertà religiosa; Uniati.

 

Pròsopon (Gr. « faccia », « maschera », « ruolo »).

Inizialmente, significava una maschera portata sul palco. In seguito, indicò la persona. Alcuni Padri della Chiesa parlano di tre pròsopa della Trinità e di un pròsopon in Gesù Cristo (cf DS 250, 302; FCC 4.003, 4.012). Però, ipòstasi divenne il termine più comune per indicare la persona. Cf Ipòstasi; Persona.

 

Protestante. 

Persona, chiesa, teologia o istituzione che in qualche modo è in rapporto con la riforma « protestante » del XVI secolo. l'inizio del protestantesimo è datato simbolicamente al 31 Ottobre 1517, quando Martin Lutero pubblicò le sue novantacinque tesi sulle indulgenze, in cui attaccava vari abusi riguardanti la dottrina, la predicazione e la pratica della penitenza. Il termine « protestante » proviene dalla minoranza non cattolica presente alla dieta imperiale di Spira nel 1529. Essa presentò una « protesta » contro le decisioni dell'Imperatore cattolico Carlo V in fatto di religione. Il termine « protestante », identificato spesso con « evangelico », esprime alle volte un antagonismo con il cattolicesimo. I princìpi teologici comuni del protestantesimo sono: la dottrina della giustificazione mediante la sola fede e non dalle opere, la sola autorità della Sacra Scrittura, il sacerdozio comune dei fedeli. Cf Battisti; Calvinismo;  Corruzione totale; Evangelici; Fede e Opere; Hussiti; Imputazione; Legge e Vangelo; Luteranesimo; Metodismo; Neo‑ortodossia; Presbiterianesimo; Protestantesimo; Puritani; Riforma (La); Sacramento della penitenza; Sola fede; Sola grazia; Sola Scrittura; Theologia Crucis;  Zwinglianesimo.

 

Protestantesimo liberale. 

Si chiama così quel movimento teologico protestante dei secoli XIX e XX, fortemente influenzato dalla filosofia dell'Illuminismo, spesso opposto ai dogmi della Chiesa e intento a sviluppare un approccio scientifico della Bibbia. Friedrich Schleiermacher (1768‑1834) è considerato generalmente il fondatore di questo movimento. Secondo lui, l'esperienza religiosa e la consapevolezza interiore di Dio sono normative in campo di fede. I vari suoi successori cercarono di togliere dalla Scrittura quanto vi fosse di leggendario o di mitico per scoprirne la storia originale. Un forte interesse etico (che sottovalutò l'escatologia) illustrò la religione del Gesù storico espressa attraverso il Discorso della Montagna e sintetizzata come solidarietà umana sottomessa a Dio. Qualcuno, come Ernst Troeltsch (1865‑1923) diede scarsa importanza al fatto unico della rivelazione di Gesù e vide nel cristianesimo poco più di un fenomeno di una certa influenza nella storia delle religioni. La fede nella scienza moderna, nella filosofia e nel progresso incoraggiarono i teologi ad allearsi strettamente con la cultura borghese europea e coi suoi capi politici. Un esempio evidente ci è dato da Adolf von Harnack (1851‑1930). La prima guerra mondiale e la nascita della teologia dialettica tennero a bada per un certo tempo il protestantesimo liberale. Esso tornò ad avere un certo successo negli anni '60. Cf Escatologia; Gesù storico; Illuminismo; Modernismo; Protestante; Teologia Dialettica.

 

Protocanonico (Gr. « elencati nel canone fin dall'inizio »). 

Termine applicato alla maggior parte dei libri dell'AT accettati come ispirati e canonici da tutti. Cf Apocrifi; Canone; Libri deuterocanonici.

 

Protologia (Gr. « studio delle prime cose »). 

Dottrina circa l'origine del mondo e degli esseri umani. La protologia è correlata con l'escatologia, in quanto il progetto di Dio all'inizio è illuminato nel senso migliore dal suo pieno compimento alla fine. Cf Adamo; Caduta (La); Creazione; Eva; Giustizia originale; Peccato originale.

 

Protovangelo (Gr. « primo vangelo »). 

La storia dell'infanzia di Gesù nel vangelo apocrifo di Giacomo. Il termine si applica anche all'interpretazione tradizionale della donna che schiaccia il capo al serpente (Gn 3,15) come prima promessa della salvezza e del ruolo che Maria avrà in essa. Cf Escatologia; Sensi della Scrittura; Vangeli apocrifi; Vangeli dell'infanzia.

 

Provvidenza (Lat. « sollecitudine »). 

La cura sapiente, amorosa e onnicomprensiva di Dio nei riguardi della natura, della storia e delle singole vite umane (cf Mt 6,25‑34; 10,29‑31). La dottrina cristiana della provvidenza è conciliabile con la libertà umana e con le vie misteriose di Dio il quale può « scrivere diritto su righe storte ». Cf Deismo; Libertà; Predestinazione; Prescienza; Teismo.

 

Prudenza (Lat. « preveggenza »). 

È la prima delle quattro virtù cardinali. Comporta la capacità di tradurre in pratica le norme e gli ideali generici. La prudenza cristiana è più che una pura accortezza che prevede le difficoltà e scansa le conseguenze sgradite. La prudenza comporta l'esercizio di una immaginazione pratica che rende coerente l'intera vita morale di una persona. Cf Virtù cardinali.

 

Pseudepigrafi (Gr. « titoli falsi »). 

Libri attribuiti ad un autore diverso da quello vero, probabilmente per dare loro maggiore autorità. Si hanno esempi nei libri non canonici di Enoc e dell'Assunzione di Mosè. I cattolici usano il termine « apocrifi » in riferimento a libri ebraici pseudonimi. Cf Apocrifi.

 

 

Punto omega (Gr. l'ultima lettera dell'alfabeto). 

La méta finale (cf Ap 1,8; 21,6; 22,13) dell'evolversi e del convergere dell'universo secondo il pensiero di Pierre Teilhard de Chardin, gesuita francese, paleontologo (1881‑1955). Sintetizzando la fede cristiana coi dati della scienza nelle sue opere tra cui Il fenomeno umano, Ambiente divino e altre opere (postume), Teilhard descrisse un mondo di una complessità crescente, progressivamente umanizzato e « cristificato », ossia che si evolve verso il suo vertice nel Cristo cosmico (cf 1 Cor 15,28; Ef 1,3‑10; Col 1,15‑20). Cf Cristocentrismo; Entelechìa; Escatologia; Parusìa.

 

Purgatorio (Lat. « purificazione »). 

È lo stato di coloro che muoiono in comunione con Dio, ma hanno ancora bisogno che i loro peccati personali siano espiati (mediante i meriti di Cristo) e devono crescere spiritualmente prima di poter godere la visione beatifica. I passi scritturistici che sono stati addotti (2 Mac 12,38‑46; Mt 5,25‑26; 12,31‑32 e 1 Cor 3,11‑15) non sono tali da poter stabilire da soli l'esistenza del Purgatorio. Esso può essere confermato alla luce della giustizia divina e dal fatto delle preghiere dei cristiani (attestate almeno fin dal II secolo) e dalla celebrazione dell'Eucaristia (attestata almeno fin dal III secolo) per i defunti. In linea con questa prassi, autori Greci come san Clemente di Alessandria (circa 150 ‑ circa 215), Origene (circa 185 ‑ circa 254) e san Giovanni Crisostomo (circa 347‑407) e scrittori latini come Tertulliano (circa 160 ‑ circa 225), san Cipriano (morto nel 258) e sant'Agostino di Ippona (354‑430) scrissero in vari modi sulla purificazione dopo la morte e sulla nostra comunione mediante la preghiera per i nostri cari defunti. La preghiera per i defunti è rimasta un elemento tipico delle liturgie orientali e occidentali. Il Concilio di Lione II (1274) e quello di Firenze (1438‑1445) hanno parlato della sofferenza purificatrice sopportata dopo la morte (di coloro che non sono ancora degni della visione beatifica) e del valore delle preghiere e buone opere in loro suffragio (DS 856‑857; 859; 1304‑1305; FCC 0.012‑0.013, 0.015, 0.022‑0.023). Hanno evitato, però, di parlare di « fuoco » a cui sono contrari gli Ortodossi. Martin Lutero (1483‑1546) respinse prima il valore delle indulgenze per i defunti e poi anche l'esistenza del Purgatorio. Il Concilio di Trento (1545‑1563) ribadì la dottrina del Purgatorio, non disse nulla circa la sua natura e durata, riaffermò il valore delle preghiere e dell'Eucaristia per quelli che si trovano in Purgatorio (DS 1580, 1820; FCC 0.029, 8.113). Il Concilio Vaticano II ricordò la nostra comunione con coloro che si purificano dopo morte e fece suo l'insegnamento di Firenze e di Trento (LG 49, 51). Lo stato del Purgatorio può essere inteso come un processo finale di maturazione amorosa, ma dolorosa, prima di poter vedere Dio a faccia a faccia. Con il giudizio universale, il Purgatorio cesserà di essere (DS 1067; FCC 0.021). Cf Comunione dei Santi; Eschata; Indulgenze; Morte; Visione beatifica.

 

Puritani. 

Termine generico per indicare quei gruppi influenti nella Chiesa d'Inghilterra che opposero il loro sistema religioso a quello della Regina Elisabetta I (1533‑1603) e, seguendo una teologia calvinista, mirarono a purificare la Chiesa dagli elementi non biblici. Insistettero su una stretta osservanza della Domenica e su un codice morale molto austero. Molti Puritani hanno finito per non accettare il governo episcopale della Chiesa. Fra i principali Puritani inglesi, vanno ricordati: Thomas Cartwright (1535‑1603), il Lord Protettore Oliver Cromwell (1599‑1658), e il poeta John Milton (1599‑1658). All'inizio del XVII secolo, i profughi Puritani costituirono una colonia nel Massachusetts. Il teologo più famoso che emerse tra i Puritani della Nuova Inghilterra fu Jonathan Edwards (1703‑1758). Nelle Isole britanniche, gli Anglicani della « Chiesa Bassa », i Battisti, i Congregazionalisti, i Presbiteriani e i Quaccheri (o Società degli Amici) hanno tutti ereditato elementi di origine puritana. Cf Battisti; Calvinismo; Comunione anglicana; Episcopato; Presbiterianesimo; Protestante; Riforma (La); Società degli amici; Teologia; Teologia congregazionalista.